martedì 27 marzo 2012

“Romanzo di una strage”: il mio giudizio

Ieri sera ero alla prima di “Romanzo di una strage”: ci sono molte cose da dire, per cui riduco il preambolo al necessario.
Darò il mio giudizio in appunti sparsi. I primi sono sul film in sé. Non sono un grande intenditore di cinema, per cui le mie valutazioni su questo aspetto non sono una recensione artistica, ma semplici impressioni personali da spettatore.
I secondi – che più m’interessano – sono sui contenuti. Chi segue il mio blog e ha letto un paio d’anni fa lo “scambio d’opinioni” fra me e Paolo Cucchiarelli (autore de “Il segreto di Piazza Fontana”, libro a cui è ispirato il film) sa che mi sono accostato al film con molti dubbi. Sa anche che ho promesso di NON tornare su quella polemica; una promessa che rispetterò: quindi tutti i contenuti che seguono sono relativi SOLO ED ESCLUSIVAMENTE al lavoro di Marco Tullio Giordana. E devo ammettere che proprio Giordana mi facilita nel compito di non riaprire la discussione circa il libro di Cucchiarelli. “Romanzo di una strage” attinge dal libro, ma lo fa con molta libertà. Questo, indirettamente, è il primo apprezzamento che posso fare a Giordana; ce ne saranno altri, ma pure qualche critica…

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Passiamo agli “appunti sparsi”. I primi, come accennato, sono puramente artistici. E, lo dico subito, ferma restando la mia limitata competenza cinematografica, i meriti sono superiori ai difetti.

La scena dell’esplosione è terribile ed emozionante. Qualcuno dirà che creare “tensione narrativa” in immagini del genere non era poi difficile. E’ vero solo in parte: a me ha colpito la drammaticità degli attimi successivi, e contemporaneamente la grande delicatezza con cui vengono affrontati. Il silenzio, la gente che non si capacita subito di quanto successo... Un “bravo” particolare a Giordana per aver evitato di caricare la scena con elementi raccapriccianti o pietistici: non ci sono urla, pianti, ma solo il peso incombente di una tragedia le cui dimensioni si fanno chiare poco a poco.

Gli attori sono convincenti. Avevo sentito grandi complimenti per Favino/Pinelli: meritati, ma Mastandrea/Calabresi forse è ancor più bravo. E alcune parti “minori” (“minori” solo nel senso che la loro presenza sullo schermo è quantitativamente inferiore) sono addirittura meglio:  ad esempio, Michela Cescon con pochissime battute dà l’idea dell’enorme spessore umano di Licia Pinelli. Peraltro devo dire che l’apprezzamento, in questo campo, non va solo agli attori, ma proprio a Giordana. Il “suo” Freda appare in poche sequenze, ma bastano a tratteggiare il personaggio, la personalità, l’alone inquietante che lo caratterizza.

Fermo restando il giudizio positivo, un paio di pecche sul piano “recitativo” (di cui, è bene ribadirlo, non sono un intenditore) ci sono.

La prima è quella più importante. E a dire il vero è più “di contenuto” che non “formale”, quindi più grave… Valpreda è dipinto come una macchietta, per non dire peggio. Anch’io di Valpreda scrissi (nei redazionali del fumetto firmato da me e Matteo Fenoglio): “Corre l’obbligo di sottolineare che sicuramente in gioventù l’anarchico milanese ebbe frequentazioni e posizioni discutibili. Ad esempio, Adriano Sofri, nel suo La notte che Pinelli (Sellerio, 2009) ricorda i difficili rapporti tra Valpreda e Pinelli (quest’ultimo contrassegnato da una consapevolezza politica più matura e lontana dagli eccessi del primo)”; ma aggiungevo pure “Tutto questo nulla toglie all’ingiusta odissea, umana e giudiziaria, cui fu sottoposto Pietro Valpreda”.
Intendo dire che, indipendentemente da altre considerazioni, non si deve dimenticare che Valpreda è “un innocente, accusato ingiustamente” (così sintetizzammo nel fumetto), uno che ha visto la propria vita stravolta e rovinata, facendosi anni di galera per un reato non commesso: meritava più attenzione e rispetto..

Altra nota dolente è Aldo Moro. L’interprete è un attore di grande spessore (Gifuni): non mi passa neanche per l’anticamera del cervello discuterne bravura o professionalità; ma il risultato a tratti è caricaturale. Credo si tratti, in parte, di esigenze cinematografiche: la matassa di avvenimenti che si dipana “verso” e “da” Piazza Fontana è ricca, terribile e ingarbugliata; rende inevitabile qualche semplificazione ANCHE nel campo delle relazioni politiche dell’epoca. I colloqui fra Moro e Saragat, però, sono un po’ troppo didascalici e “scolastici”, anche tenendo conto del limite oggettivo detto prima. Pure nell’esprimere il proprio tormento umano il “Moro/Gifuni” dà l’impressione, più che del tormento, di un certo imbarazzo.

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Veniamo ora agli appunti sul contenuto. Anche in questo campo a mia opinione quelli positivi sono superiori ai negativi; ma quelli negativi pesano…
Il film ha il grosso merito di dipingere personaggi tridimensionali, senza aver paura di mostrare anche le loro “pecche”. Prima di entrare nel dettaglio, una nota essenziale: le descrizioni che seguono riguardano esclusivamente “il narrato” del film, che NON necessariamente coincide con le mie convinzioni circa “l’aderenza al reale” di alcune ricostruzioni.

Di Pinelli viene restituita la dignità e la statura morale; ma non si nasconde la sua reticenza nel tacere l’incontro con un personaggio ambiguo, nonché compromesso e compromettente, come Sottosanti (una reticenza, sia chiaro, assolutamente comprensibile).

Calabresi è “l’eroe”, nella ricostruzione del film. Ma non se ne tacciono i silenzi e le ambiguità, specie relativamente alla famosa conferenza stampa della notte fra il 15 e il 16 dicembre, subito seguente la caduta di Pinelli. Silenzi e ambiguità che semplicemente vengono addebitate a scelte (scellerate e tutt’altro che in buona fede) dei suoi superiori, Guida e Allegra, a cui il giovane commissario non ha la prontezza o il coraggio d’opporsi. Analogamente, il regista non nasconde l’indecente decisione di non avvertire tempestivamente Licia della caduta del marito (sarà avvertita solo dai giornalisti, mentre Pino è in condizioni disperate al Fatebenefratelli), scelta che anche in questo caso sembra ricadere sui superiori del commissario; a Calabresi resta il peso della risposta alla vedova (“perché non m’avete avvertita?”; “signora, qui siamo tutti molto impegnati”, citando a memoria) che però avviene in un momento di concitazione e sempre come conseguenza diretta della gestione Guida/Allegra.

Dei difetti “estetici” nella rappresentazione di Moro ho già detto. Nella sostanza, si tratta di un personaggio dipinto come fermo oppositore di ogni deriva antidemocratica. Nonostante questo, è proprio lui – sempre nella ricostruzione di Giordana – a insabbiare per primo la ricerca della verità, seppure per “superiori ragioni del Paese”. In sintesi: Moro lavora affinchè non sia dichiarato lo stato d’emergenza e non vengano ristrette le garanzie costituzionali; ma nel contempo offre a Saragat il silenzio sulle sue conclusioni, che già a fine dicembre 1969 lo avrebbero portato a capire non solo la matrice fascista della strage, ma pure le connivenze all’interno degli apparati dello stato. Moro sembra ritenere che il Paese “non possa reggere” alla rivelazione della verità, e per questo (“anche” per questo) sceglie il silenzio.

La morte di Pinelli merita qualche premessa.
1. Sull’argomento fatico a essere obbiettivo, visto l’affetto che mi lega a Licia, Claudia e Silvia. E visto l’interesse personale che ho sempre avuto per il “caso Pinelli”.
2. Parlare della morte del ferroviere anarchico (questa è una postilla che vale per molti degli argomenti trattati nel film) significa muoversi in un campo minato. Indipendentemente dalle proprie convinzioni, e dagli elementi che le supportano, si ha a che fare con esiti storici e processuali che fissano paletti precisi, oltre i quali c’è non tanto il pericolo quanto la certezza di pesanti denunce. Certo, si potrebbe obbiettare che un artista può scalzare i paletti e scrivere liberamente “la verità di cui è intimamente convinto”, ma si sconfinerebbe nell’accademia (non credo esista un editore/produttore che pubblicherebbe un libro/un film in cui sia certo l’esito di una denuncia per diffamazione). Ma atteniamoci ai fatti: lo si condivida o meno, Giordana ha preso atto dei “paletti”, scegliendo di muoversi al loro interno; nel caso della morte di Pinelli l’ha fatto con serietà e una buona dose di coraggio.

Premesso questo: nel film è resa efficacemente la pressione indecente esercitata nei confronti di Pinelli. Viene denunciato il suo fermo, già protrattosi oltre i limiti di legge al momento dell’ultimo e fatale interrogatorio. Viene formulata in modo chiaro e deciso l’ipotesi che si voglia “incastrare” l’anarchico, per chiudere in fretta il caso e realizzare un comodo “pacchetto di colpevoli” tutto interno al mondo dell’anarchia (fra l’ambiente milanese di Pinelli e quello romano di Valpreda – che, ricordo, all’epoca dei fatti militava nel circolo “22 marzo” di Roma). Gli attimi fatali della caduta non sono mostrati (alla luce delle scelte esposte in premessa NON poteva essere altrimenti) ma le responsabilità degli agenti (in particolare di Panessa) nel film sono ben più che adombrate.
Circa l’annosa questione della presenza o meno di Calabresi nella stanza, Giordana dà una propria lettura che regge il “vaglio del plausibile” (il “vaglio del reale” è altra faccenda: mi dilungherei troppo, e non è il caso d’affrontarla, avendone scritto più volte in passato), tentando anche la quadratura del cerchio fra l’uscita dalla stanza del Commissario e la testimonianza di Valitutti (compagno anarchico che sostenne di non aver visto Calabresi uscire dalla sua stanza prima della tragedia, confermando sempre questa versione). Nella ricostruzione di Giordana, Calabresi esce dalla stanza, ma Valitutti può non averlo notato.
Insomma: in sostanza sulla morte di Pinelli Giordana ha fatto un lavoro egregio, tenuto conto dei limiti all’interno dei quali ha scelto di muoversi.

Veniamo ora alla famosa/famigerata teoria della “doppia bomba”, che tanto ha messo in allarme (anche) me.

(AVVERTENZA: SE PROSEGUITE NELLA LETTURA AVRETE ANTICIPAZIONI CIRCA IL FINALE DEL FILM)

Letta l’avvertenza???? Bene, allora proseguiamo…

Devo ammettere d’aver fatto un salto sulla poltroncina negli ultimi dieci minuti del film. E di essere rimasto con la sensazione “questa scena DEVO rivederla…”.
Perché la sorpresa, fermo restando che DAVVERO la scena finale sarebbe da rivedere con più calma, è grossa…

La teoria, che ho controbattuto in passato, della “bomba rossa” (un ordigno sostanzialmente innocuo, la cui esplosione sarebbe stata fissata a banca chiusa e depositata da Valpreda) “raddoppiata”, a insaputa di Valpreda, dalla “bomba nera” che diventa vera causa della strage purtroppo nel film c’è. Ma SEMBRA essere solo un’ipotesi investigativa a cui stava lavorando Calabresi prima di essere ucciso. Un’ipotesi a cui il commissario credeva, ma doveva ancora riscontrare compiutamente (sia chiaro: sto sempre e solo riportando quanto presente nel film).
Calabresi confida la propria ipotesi in un lungo e serrato colloquio con “un prefetto” (senza nome, ma la cui identificazione è pacifica in Federico Umberto D'Amato dell'ufficio affari riservati). D’Amato risponde in modo sibillino: e se Valpreda non c’entrasse nulla? E se le bombe fossero state davvero due, ma entrambe “nere”, una posata da uno dei possibili “sosia di Valpreda” (per incastrare l’anarchico) e “quella vera” dagli stragisti veri e propri (ossia: una “nera e basta” e una “nera dei servizi”, senza nessun coinvolgimento degli anarchici)?

Dopo questa scena, il film si chiude con l’uccisione di Calabresi. Nulla di più viene detto/mostrato, ma nello spettatore si insinua il dubbio che Calabresi sia stato eliminato in quanto ormai “scomodo” per lo Stato e troppo vicino alla verità.

Nel primo articolo scritto con Saverio Ferrari sul libro di Cucchiarelli dicemmo chiaramente che alla doppia bomba NON credevamo. Un giudizio che confermo, anche se ammetto che l’ipotesi “due bombe, entrambe nere” meriterebbe un approfondimento, anche per considerazioni che proprio io e Saverio scrivemmo in quell’articolo: “Considerazioni a parte sono invece dovute a un altro particolare che Cucchiarelli evidenzia nel libro: il ritrovamento di un pezzo di miccia, menzionato nella fase iniziale delle indagini e poi inspiegabilmente uscito di scena, che fa pensare a un ordigno il cui innesco fosse di tipologia diverso da quello ormai consolidato nella storia di Piazza Fontana (ossia: un innesco a miccia in luogo del famoso timer). Questo particolare è forse il più rilevante fra quelli apparsi nella prima e più interessante parte del volume, nonché difficile da controdedurre. Resta però un elemento solitario, da solo insufficiente per avallare ricostruzioni alternative a quella che la Magistratura ha già puntualmente descritto, pur senza arrivare a responsabilità personali”.

Ribadisco: la scena è troppo importante. Dovrei rivederla per maturare un vero giudizio (che, allo stato e su questo punto, non è positivo).

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Il mio giudizio complessivo…
Non cercate in “Romanzo di una strage” il film perfetto e definitivo su Piazza Fontana. Ma sappiate che quello è probabilmente impossibile da realizzare. Le vicende sono troppe, si intrecciano formando nodi inestricabili. Non consentono una narrazione complessa (troppo lunga e dispersiva; richiederebbe un’opera totalmente estranea alla lunghezza e alla “forma classica” di un film); e rendono difficile una narrazione sintetica (troppe cose si sarebbe costretti a lasciare fuori). Inoltre, sono molteplici e variegate le sensibilità toccate dalla vicenda e dal suo successivo dipanarsi: impossibile trattare tutte con uguale accortezza.
Credo che chiunque abbia lavorato seriamente su Piazza Fontana (magistrati o scrittori; giornalisti o storici che siano) possa trovare dei difetti nel film di Giordana; se lo spettatore è invece, più semplicemente, “un cittadino che vuole sapere” (e in fondo proprio a lui è indirizzato il film) “Romanzo di una strage” può essere un buon inizio. Fa quel che deve fare un film (o un libro): non “regala la verità”, ma fa riflettere. Offre un quadro in cui nitidamente emergono le responsabilità della destra eversiva, le connivenze dello Stato, il senso d’impotenza per una giustizia negata da più di quarant’anni. Forse ci si poteva fermare lì.

Francesco “baro” Barilli

4 commenti:

  1. 31 marzo 2012 Comunicato Associazione Pietro Valpreda - Gli Anarchici per la verità sulle stragi

    Abbiamo visto il film Romanzo di una Strage ed abbiamo notato la mancanza di conoscenza dei personaggi e dell’ambiente nel quale si svolsero i fatti.
    Noi che i fatti li abbiamo vissuti in prima persona, noi per i quali la strage non è stata un romanzo ma un evento che ha stravolto le nostre vite, nella pellicola non abbiamo trovato né la verità né la storia di quei drammatici avvenimenti.
    Ribadiamo quello che abbiamo sempre detto e affermiamo che siamo stanchi di vedere rappresentati i fatti in modo distorto e gli anarchici come personaggi folkloristici e ingenui, utilizzando fonti non attendibili e in contrasto con la verità giudiziale e con quanto ricostruito negli anni passati da ricercatori molto seri e molto documentati
    Vogliamo mettere la parola fine a queste speculazioni Nelle prossime settimane organizzeremo un convegno in cui testimoni diretti degli avvenimenti racconteranno ancora una volta quanto successe in quel drammatico periodo culminato con la strage di stato di piazza fontana, ricostruendo il clima generale e i personaggi di questa storia.

    Associazione Pietro Valpreda - Gli Anarchici per la verità sulle stragi
    Associazione dei compagni anarchici coinvolti nella repressione dello stato a seguito del piano criminoso culminato con la strage di piazza Fontana

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  2. Ciao Baro. Io devo dire di dare un giudizio un pò più negativo del tuo sul film di Giordana. Indubbiamente ha alcune qualità, e condivido parte delle tue valutazioni in merito, come pure ha contenuti indubbiamente più credibili del libro di Cucchiarelli.Non mi convince però l'operazione di fondo, al di là della qualità del film: di fatto viene rimessa in circolo la teoria della doppia bomba. Mi sembra che sia il tratto dominante. E' vero che questo, nel film, avviene solo nell'ipotesi di Calabresi, che però è un personaggio indubbiamente positivo nel film. In ogni caso il libro di Cucchiarelli è tornato nelle librerie con la fascetta "il libro che ha ispirato "Romanzo di una strage". In questi giorni è uscito pure un romanzo di Vito Bruschini su Piazza Fontana, collegato chiaramente al film (l'immagine della copertina è proprio tratta dal film), e che ripropone a sua volta la "doppia bomba". Insomma: indipendentemente dalle intenzioni di Giordana, il motore del revisionismo sulla verità di Piazza Fontana si è messo nuovamente in moto...

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  3. Caro Nando,
    in realtà le nostre opinioni non sono poi così distanti. Banalizzando la questione (e non voglio certo banalizzarla: concedimelo, quindi, solo per esigenze di estrema sintesi) potremmo dire che è un po’ la storia del bicchiere pieno a metà: uno può restare deluso nel vederlo mezzo vuoto, l’altro può “accontentarsi” vedendolo mezzo pieno…
    Ti invito a leggere anche la rece di Aldo Giannuli: ha un’opinione anche più positiva della mia, anche se pure lui non lascia il film esente da critiche (bellissimo, poi, il pamphlet via web scritto da Sofri; imperniato più sul libro di Cucchiarelli che non sul film: assolutamente da leggere – il pamphlet di Sofri, ovviamente…). Tra l’altro, Giannuli ricostruisce con precisione la questione dei diritti del libro (cito dal blog di Aldo: “… il film distrugge il libro più di quanto non se ne serva. Ma, allora, direte, perché dichiarare il film ispirato a quel libro? Lo spiega lo stesso Giordana sul Corriere: perché, prima ancora che fosse scelto il regista, la produzione aveva (sconsideratamente) acquistato i diritti del libro e quindi c’era un obbligo contrattuale in questo senso.”).
    Sul fatto che, come dici, “ il motore del revisionismo sulla verità di Piazza Fontana si è messo nuovamente in moto” concordo. Nello stesso solco si iscrive la riedizione del libro di Cucchiarelli (“libro che ha ispirato il film”, sulla fascetta). Sono operazioni commerciali preoccupanti e molto fastidiose. Addirittura scandalose per chi, da questa storia, si è visto rovinare la vita; in questo senso, ad esempio, ribadisco il fatto che Valpreda meritava più rispetto, ma uguale considerazione avrei dovuto farla (la faccio ora, a corollario e parziale “ammenda”) per gli altri compagni anarchici, trattati nel film come macchiette.
    Però, attenzione: il motore del revisionismo non l’ha rimesso in moto Giordana (come giustamente sottolinei anche tu); né a lui sono ascrivibili le strategie commerciali (legittime, s’intende, ma altrettanto legittimo che io e te possiamo esprimere un giudizio su di esse ) poste in essere per rilanciare il libro di Cucchiarelli.

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  4. Anche a me è piaciuto il film, pur con le ovvie riserve (mi pare fuor di dubbio che comunque sia, nella produzione di Giordana, comunque al di sotto dei Cento passi, e per me anche della Meglio gioventù).
    Sulla doppia bomba, anche io vorrei rivedere quella parte (perché so che una buona metà delle mie impressioni è dovuto a quanto sapevo prima, polemiche incluse, e questo non mi permette di essere obiettiva nel valutare l'impatto oggettivo che questa ipotesi, che occupa comunque una porzione di film minore e circoscritta, pure se in posizione cruciale, ha su uno spettatore non orientato nelle aspettative). Però (oltre alle considerazioni che ho espresso nella parentesi) vorrei aggiungere che comunque mi pare che in ogni caso sia una ipotesi fornita esplicitamente al di fuori dell'istanza ideologica dello sguardo registico, confinata in un momento di ipotesi e "favola". In ogni caso, dunque, mi pare innegabile che il film proponga anche su questo un discorso sulla narrazione che si sostituisce ai fatti, e non un discorso 'investigativo' tout court.
    Prima di leggere la tua recensione, ero molto perplessa anche sulla figura di Moro, ma per motivi opposti ai tuoi. Non penso che Aldo Moro vada rappresentato solo con dolente tormento rispetto alla storia di Italia. E ammetto che in questo la magistrale interpretazione di Gifuni mi ha forse troppo influenzato, facendomi confondere ammirazione attoriale con risultato. Se davvero, come tu dici (e ripassandomi mentalmente le scene inizio a concordare con te) Moro è rappresentato con imbarazzo, desiderio di archiviare e seppellire (e dunque di colludere per omissione, in nome della ragion di Stato - una scelta che del resto ben si vide nel suo discorso sul caso Lockheed e che Sciascia giustamente rileva come fondante in apertura dell'Affaire), allora mi pare che il film di Giordana faccia centro una seconda volta. Legando il filo rosso che porta dal piazza Fontana a Moro in senso storico, ma anche del discorso sulla storia (ciò che a lui interessa maggiormente in questo caso, direi). Ma, soprattutto, in senso estetico: perché allora quel Moro di Gifuni è già il Moro di Sciascia. E si rivela un invito a leggere il film anche in quella direzione.

    ps. Io ne ho parlato qui: http://nemoinslumberland.wordpress.com/2012/04/03/romanzo-di-una-strage/

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