giovedì 12 novembre 2009

“I nostri ragazzi”: Stefano Cucchi

Della morte di Stefano Cucchi si è già detto molto. Sinceramente non saprei cos’altro aggiungere, se non che spero che stavolta gli esiti dell’inchiesta siano diversi da quelli consueti.
C’è però un particolare che mi ha colpito, nelle foto pubblicate. Non sto parlando di quelle del corpo martoriato e senza vita di Stefano, ma di quelle segnaletiche scattate all'ufficio matricole del Regina Coeli. Ce n’è una in particolare che ha qualcosa di struggente, quella che ne ritrae il profilo sinistro. Se non ci fossero quei lividi, se non sapessimo trattarsi di una foto segnaletica, se non conoscessimo già il tragico epilogo, Stefano non sembrerebbe in carcere, ma in libertà, affacciato a una finestra da dove guarda il mondo con uno sguardo triste e spaesato.
E’ un’immagine che mi ha dato da pensare. Per qualche meccanismo inconscio che non riesco ad indagare appieno, mi ha fatto venire in mente una definizione che di solito si usa quando si commenta la morte di militari italiani nelle cosiddette “missioni di pace”: “i nostri ragazzi”, si dice in quei casi.
Ho pensato che quella definizione la si potrebbe utilizzare tranquillamente anche per Stefano come per Aldo Bianzino, Federico Aldrovandi, Marcello Lonzi. Anche questi sono “i nostri ragazzi”. Fragili, impauriti. Forse imperfetti, come è normale siano, forse gravati da un fardello di errori. Come tutti, senza che su quei difetti debba speculare un Giovanardi di turno (già in passato distintosi sul caso Aldrovandi) e senza che i loro eventuali errori possano giustificare – in nessuna misura – le atrocità che gli sono state riservate.
Se ascoltiamo le storie di Stefano, Aldo, Federico, Marcello, scopriamo storie normali (solo, troppo brevi…) con la normale dose di tristezze e sorrisi. Come le loro foto passate (recuperate dopo che li abbiamo già visti stesi sull’asfalto o sul lettino di un tavolo autoptico) ci ricordano. Non sono eroi, ma davvero sono “i nostri ragazzi”. A cui un paese stupido e feroce, ormai dimentico di valori quali comprensione o solidarietà e ormai vinto da ossessioni ed “emergenze”, ha mostrato il proprio volto peggiore.

Francesco “baro” Barilli

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