mercoledì 15 maggio 2013

“Eutanasia” significa esattamente “buona morte”

Anche questo articolo, come il precedente “Lungo nastro di catrame”, è scritto nella forma “lettera al direttore”, essendo indirizzato al quotidiano lodigiano “Il Cittadino”. Pure questo, al momento, non è stato pubblicato; come l’altro: non so se per scelta o per motivi di spazio. Ritenendo che anche questo possa essere interessante per qualcuno, lo pubblico di seguito.

***

Caro direttore,
l’articolo di Emanuela Viani sull’eutanasia apparso su Il Cittadino l’11 maggio ha il merito di riportare all’attenzione un tema eticamente delicato e scomodo, ma l’autrice parte da un errore di fondo. Viani sostiene, in sostanza, che parlare di suicidio assistito o di dolce morte in luogo di eutanasia sarebbe un trucco semantico, utile per edulcorare il messaggio sotteso dal termine. Un trucco utilizzato perché (cito) “ecco che quella brutta cosa dell’eutanasia che evoca totalitarismi e soppressioni forzate, viene sostituita dalla dolcezza del “suicidio assistito”.
Viani cita Calvino e l’antilingua. Concordo in linea generale: le parole sono tutto fuorchè innocenti. E, ad onor del vero, prima di Calvino già l’allucinato e profetico “1984” di Orwell denunciava quanto la creazione di un neologismo potesse essere finalizzata ad edulcorare un concetto, tutt’altro che nuovo, inducendo un atteggiamento mentale positivo nella popolazione. Orwell parlava di tentativi di usare la semantica per deformare il pensiero; di una simmetrica relazione fra un messaggio rassicurante, affidato al termine, e un contenuto spaventoso, occultato nel suo significato: lo “svagocampo”, usato per definire l’inaccettabile “campo per lavori forzati”, per esempio. Anche i neologismi dell’ucronia orwelliana erano quindi “antilingua”, così come successivamente definita da Calvino.
Ciò che non dice Viani è che “eutanasia” deriva dal greco e significa LETTERALMENTE “buona morte”. Orwell e Calvino, dunque, non c’entrano proprio nulla. “Eutanasia” non deve evocare “totalitarismi e soppressioni forzate”, né in Viani né in nessuno, perché il suo significato è diverso. Anzi, se parliamo di eutanasia, proprio l’accostarla a “soppressioni forzate” costituisce un esempio di “antilingua”. Emanuela Viani sia più accorta nelle citazioni: possono rivelarsi un boomerang.
Vorrei infatti che fosse ben chiara una cosa. Il dibattito sul fine vita (dai casi Welby o Englaro in poi, ma a dire il vero anche prima) spesso risulta viziato, presentandolo come se qualcuno (lo Stato, i proponenti dei disegni di legge sull’argomento, tanto per dire) volesse imporre una propria visione etica secondo cui un soggetto che versa in certe condizioni “deve” essere “obbligato” alla morte. NON è così e NON deve essere così. A titolo personale sottolineo di avere la massima considerazione per chi vuole rifiutare l’eutanasia. Per chi, ad esempio, in nome di rispettabilissime convinzioni etico/religiose preferirebbe restare attaccato a una macchina (nella legittimissima speranza di un miracolo o anche solo perché ritiene l’eutanasia moralmente inaccettabile) piuttosto che terminare la propria vita. Dunque, nessuno deve temere che l’eutanasia possa essere imposta per diktat. Premesso questo, sia altrettanto chiaro che, attualmente, lo stato delle cose è ESATTAMENTE il contrario; ossia: la libera inclinazione etica di chi rifiuta l’eutanasia è garantita, mentre non lo è quella di chi vorrebbe mettere fine alle proprie sofferenze ricorrendo alla “buona morte”. L’eutanasia non deve essere un’imposizione, ma bensì una possibilità di scelta. Una possibilità attualmente negata: su questo, e non su altro, dovrebbe concentrarsi il dibattito.

Francesco “baro” Barilli

“Lungo nastro di catrame”

NOTA: Questo articolo è scritto nella forma “lettera al direttore”, essendo indirizzato al quotidiano lodigiano “Il Cittadino”. Per ora (il pezzo è dell’11 maggio) non è stato pubblicato. Non so se per scelta o per motivi di spazio (in questi giorni “l’area” delle lettere sul giornale è occupata prevalentemente da interventi sulle prossime elezioni comunali a Lodi). In ogni caso, visto che lo ritengo interessante, lo pubblico di seguito.

***

Caro direttore,
pochi giorni fa, in uno dei rari momenti in cui questa primavera bislacca si è voluta davvero concedere, un amico mi ha convinto a una lunga passeggiata. Risultato: una tendinite che ancora mi tormenta e l’amara consapevolezza del mio pietoso stato di forma. Ma non voglio tediare lei o i suoi lettori con i miei guai; torniamo dunque alla passeggiata.
Dopo la strada verso la Mulazzana, abbiamo girato a destra, imboccando il lungo rettilineo che sfocia sulla Provinciale Codogno/Cavacurta. Al surreale spettacolo di quella sorta di enorme pista ciclopedonale larga una ventina di metri, affollata di persone (per lo più ciclisti e appassionati di jogging, tutti più in forma di me…) ho cominciato a canticchiare fra me un pezzo di Guccini e i Nomadi: “Statale 17, lungo nastro di catrame, la gente bene dorme, sei deserta all'orizzonte. A quest'ora non c'è un cane che mi voglia prender su...”. L’amico mi ha spiegato trattarsi del nuovo tratto di Provinciale 234, il cui cantiere risente di problemi tecnico/burocratici, per le cattive condizioni atmosferiche dell’inverno e altre questioni con la ditta appaltatrice. “Ma non li leggi i giornali?!”, mi ha rimproverato (il rimbrotto penso possa farle piacere, direttore).
Ora, mescolando il vezzo letterario di un flash forward e una vera casualità, andiamo all’altro ieri. Quando, costretto dall’attesa al bar della piscina di Casale durante il corso di nuoto di mia figlia, ho recuperato la lettura de Il Cittadino degli ultimi giorni e – non s’adiri – anche de Il Giorno.
Nelle pagine dedicate al lodigiano, la mia vista è stata allietata da una presenza assai frequente: quella di Nancy Capezzera, assessore provinciale alla viabilità e trasporti. Ad onor del vero ho potuto ammirare anche il nuovo look dell’ex presidente Foroni. La rinuncia al gel (non ho capito se precedente o successiva a quella, “sofferta” secondo le sue parole, allo scranno provinciale in favore di quello regionale) e un taglio di capelli molto “ggiovane” (molto “Matteo Renzi”, ho pensato) gli dona.
Ma sto divagando, mi scusi. Torniamo a Capezzera, che dalle foto ho appreso essere parecchio incasinata per l’erba alta alle rotatorie, nonchè conscia delle problematiche della nuova “bretella”: in una foto appare (deliziosa, con elmetto da cantiere e giubbino giallo fluorescente) indicare compunta una mappa accanto a un tecnico, che non so identificare, ma che sembra pensare “sta succedendo proprio a me?”.
La mia mente è andata allora alla passeggiata di pochi giorni prima: fine del flash forward. Quegli incroci di pensieri che ogni tanto conducono le sinapsi lungo percorsi strani (strani quanto quella “strada che si sperde: sembra un letto di cemento”) mi hanno portato da Guccini a quel nome, Nancy, cantato dal mai troppo compianto De Andrè (ricorda, direttore? “Un po' di tempo fa Nancy era senza compagnia, all'ultimo spettacolo con la sua bigiotteria. Dicevamo che era libera e nessuno era sincero: non l'avremmo corteggiata mai nel palazzo del mistero”). Saprà, l’assessore, che poche decine di metri prima dell’incrocio con la Codogno/Cavacurta il “lungo nastro di catrame” delle nuova Provinciale è lacerato da un grave cedimento, in corrispondenza di un sottopassaggio? Non ho scattato fotografie, ma le posso assicurare che, indipendentemente dallo stallo in cui versa il cantiere, attualmente la provinciale in quel tratto non sarebbe percorribile, da autovetture o da mezzi più pesanti.
Mentre le scrivo, il mio stereo diffonde proprio i versi di De Andrè (“E nel vuoto della notte, quando hai freddo e sei perduto, è ancora Nancy che ti dice: amore, sono contenta che sei venuto”): istintivamente penso a Capezzera e mi tranquillizzo. Sono certo che, elmetto da cantiere e giubbino giallo fluorescente, saprà provvedere. “Ex Statale 234, com'è lunga da far tutta…”.
Però, direttore, accanto alla tranquillità c’è anche un po’ di tristezza. Il bailamme pre e post elettorale ha un po’ silenziato il dibattito sul destino delle amministrazioni provinciali. Il gel di Foroni ci ha lasciato da tempo, e ora anche il suo nuovo look è sbarcato a Milano. Il look di Capezzera è già un ricordo, sostituito da un castigato giubbetto giallo fluorescente. Cosa resterà dunque della provincia di Lodi (intesa come ente) quando le esigenze di spending review statali torneranno a farsi sentire, forse persino in termini più stringenti? “Ex Statale 234, com'è lunga da far tutta, romba svelto l'autotreno, questo cielo ancor sereno sembra esplodere d'estate, mentre tu chissà se pensi a me…”.

Francesco “baro” Barilli

mercoledì 1 maggio 2013

Due articoli de "Il Cittadino" su "Piazza della Loggia vol. 1"

 Ecco i due articoli che "Il Cittadino" (quotidiano del Lodigiano) ha dedicato alla presentazione di "Piazza della Loggia volume 1 - Non è di maggio", avvenuta lo scorso 19 aprile a Codogno.