mercoledì 28 gennaio 2015

Ancora sui fatti di Cremona

La discussione è andata avanti, qui sul blog e su facebook.
Intervengo quindi con un nuovo post solo per consentire una migliore lettura a chi è interessato.
Carlo è quello che ha detto la sua più puntualmente e lo ringrazio per il tempo e la passione che ha dedicato. Trovate il suo contributo sia nei commenti sul blog sia su facebook, “sotto” il mio primo articolo.

Ecco la mia risposta.

Caro Carlo,
il tuo intervento l’ho apprezzato, in molte parti condiviso, ma m’è rimasta l’impressione che stiamo parlando di due cose diverse.
Il tuo scritto contiene molte considerazioni politiche. Sono degnissime e mi soffermo brevemente su quelle, ma NON sono il punto nodale della discussione, a mio avviso.
Parli di politicismo, di quelli che vogliono “i voti degli operai ma non stanno nelle lotte operaie, vogliono i voti degli esclusi ma non li portano a occupare le case, vogliono i voti degli antifascisti ma…”. Di chi “ogni anno fa un comitato elettorale con un nome diverso, lo riempie di “yes man” e poi chiede ai primi di votarlo, così da avere ancora quei due-tre stipendi a provincia da far girare”.
Concordo. Quando poi accenni a comunicati di Rifondazione e altri che hanno preso le distanze dal Dordoni posso solo dirti che ne ho evitato la lettura. Meglio per il mio fegato…

Ma, ti dicevo, il punto non sta nell’analisi politica, quanto in quella logica e “fattuale”. Secondo me, ovvio.

A Cremona ho vissuto per anni, nel cremonese lavoro. Evito di leggere il quotidiano locale, quando non vi sono costretto per lavoro, per principio e, anche in questo caso, perché mi dà male al fegato.
Dopo il tentato omicidio di Emilio (uso volutamente un’espressione forte: intendo che la gravità di quanto successo non mi sfugge, anzi, e così pure rabbia e indignazione conseguenti) ho cercato di “annusare l’aria”.
Beh, posso assicurarti che dopo il fatto, e prima del corteo, qualcosa si stava muovendo. Persino una timida solidarietà dal giornale, prese di posizione contro casa Pound da parte di “moderati” (uso categorie per semplificare).
Solidarietà “pelosa” quella del giornale (peraltro sempre velata di “equidistantismo”, per coniare un neologismo)? Prese di distanza ipocrite quelle di altri? Certo, non pensarmi così ingenuo. Ma c’erano…
Tu stesso vi hai accennato, quando hai parlato della conferenza stampa tenuta dalla moglie di Emilio nei giorni precedenti in cui (ti cito) “auspica che la manifestazione possa essere il viatico per una città senza più violenza. Conferenza tenuta insieme a ANPI (leggi PD), ARCI (leggi PD)…”.

Ora, attenzione, di fronte all’aggressione a Emilio avevi due strade. Entrambe legittime, entrambe con pro e contro:
1. cerchi di allargare il fronte antifascista. E a questo punto giocoforza ti mescoli con gente differente in nome di un obbiettivo superiore e comune (spezzoni di Pd, Sel e compagnia). Stringi un patto di civiltà, per usare un’espressione enfatica ma in cui credo, con chi magari non è proprio come te, ma dentro di sé ha “un antifascista dormiente che s’è svegliato”. 
2. rifiuti la solidarietà (tanto quella pelosa e “di facciata” quanto quella sincera, per quanto ingenua e magari non priva, nel passato, di ambiguità e contraddizioni). E vai da solo.

Ripeto: entrambe le strade sono legittime e hanno pregi e difetti. Ma o segui una o l’altra. Mixarle è impossibile e se ci provi produci uno sgorbio.

(Carlo scusa la parentesi, necessaria perchè non mi stai leggendo solo tu. Quando, in questo come in altri casi, esprimo giudizi duri su Sel o sul Pd – ma anche su Rifondazione, sia chiaro – mi riferisco ovviamente ai partiti, alle loro linee, alle loro direzioni. So bene che se parlo di singole persone la questione è moooolto più complessa e il giudizio è assai diverso: ci trovi tante persone degnissime, è persino banale sottolinearlo)

La manifestazione di Cremona, secondo me, è stato il tentativo di mixare l’opzione 1 e la 2. Più precisamente, si è convocata una manifestazione secondo l’opzione 2, dopo segnali (fra cui la conferenza stampa) che potevano far pensare si cercasse l’opzione 1.
Hai fatto intravedere quel “patto di civiltà” di cui parlavo prima. Un patto che (piaccia o meno, e con tutta la concessione della buona fede) è saltato DURANTE la manifestazione, e i cui frutti amari li vedremo col tempo. Su questo tornerò nel finale…

Scusa, ora ti sembrerà che io faccia un salto logico. Non è così e ti prego di seguirmi.
Ad un certo punto sottolinei l’aspetto su cui ci troviamo più d’accordo. Il passaggio dove dico “Quest’anno cade il settantesimo anniversario della liberazione dal nazifascismo. Una liberazione ottenuta combattendo, non sfilando coi palloncini colorati. Ricordarlo è un dovere ecc.”. Tu rispondi “Sono ovviamente d’accordo. Bisognerebbe anche ricordare le cause che spianarono la strada al fascismo, la sua natura di gendarme del capitale in una fase di crisi. Bisognerebbe ricavarne le analogie con la fase attuale ecc.”
Sapevo che ci saremmo trovati d’accordo. E ne sono contento, perché questo è DAVVERO il punto fondamentale, davanti al quale il resto sono chiacchiere da tastiera. Però, attenzione, proprio la riflessione che proponi va portata fino in fondo.
Come è stato sconfitto il fascismo? Allargando il fronte antifascista, superando le divisioni in nome di un obbiettivo primario e superiore. La Resistenza quello è stato.
Qualcuno mi dirà che il fascismo era già indebolito: la guerra andava come andava, l’8 settembre eccetera. Ma sta di fatto che il regime, nel ventennio, trema seriamente già nel 1924 dopo l’omicidio di Matteotti, quando però proprio le divisioni del fronte antifascista “sterilizzarono” la possibilità di una caduta di Mussolini, che al contrario con il discorso del 3 gennaio 1925 e le successive leggi fascistissime diede un giro di vite e creò le condizioni per restare al potere per anni, liquidando opposizioni, giornali, sindacati… (Chi vuole si cerchi il film “il delitto Matteotti”, lo trovate anche su youtube).
Tutto questo per farla breve, non sto facendo un trattato di storia. M’interessa solo la “macroquestione”, per così dire: la Resistenza innanzitutto compattò il fronte antifascista. Restarono le differenze interne, certo, ma l’obbiettivo superiore (politicamente, ma pure “moralmente”) le fece accantonare.

Avrai capito che a Cremona, a mio avviso, l’opzione giusta, PROPRIO perché considero GRAVISSIMO quanto successo a Emilio, era la 1: allargare il fronte antifascista, mescolarsi con gente differente in nome di un obbiettivo comune ecc.

Oh, una cosa sia chiara: come dicono giustamente alcuni compagni di Foggia, in questo campo “ogni critica è un'autocritica”. Le cose che ho detto e dico le dico pure (innanzitutto) a me, guardandomi allo specchio. Criticare, avanzare dubbi, cercare di capire, dovrebbe essere uno spunto di riflessione, non qualcosa percepito come un tradimento (non mi riferisco a te, che hai speso belle parole – di cui ti ringrazio – per sottolineare che le critiche che hai rivolto non erano per me, ed hai dimostrato – nei fatti e non solo a parole – d’avere apprezzato la mia voglia di capire).

La manifestazione di Cremona è stata una sconfitta. Che alcuni, sicuramente in buona fede, vogliono vedere come una vittoria.
Il risultato fattuale (ti dicevo prima che Cremona e il territorio cremonese lo conosco) è: ora il Dordoni è solo. Anche (non “solamente”) per la codardia di chi poi fa i comunicati e domani cercherà voti, questo è pacifico.

Tu dipingi un quadro della situazione terribile. Io credo che la realtà sia ancora più terrificante. Vuoi saperla? Qui ti giuro che spero di sbagliarmi: dal punto di vista della strategia complessiva della repressione, Cremona, e non la Val di Susa, sarà un laboratorio.
Dopo il 24 gennaio Forza Italia e la Lega a Cremona si sfregano le mani. Casa Pound ha stappato lo champagne. La frattura fra centri sociali e la sinistra peggiorerà. Il PD avrà ancora più alibi. Sel continuerà ad ondeggiare. Assieme a Rifondazione, ininfluente, attenderanno lo Tsipras italiano, meglio se di seconda mano. Sul breve periodo (sul lungo, vedremo) il Dordoni sarà percepito come un corpo estraneo alla città, se va bene. Le persone che si sono allontanate dal corteo sabato 24 in piazza ci andranno sempre meno. I vecchietti che applaudono al balcone o “la professoressa di 50 anni che sfila in corteo”, come dici tu, scordateli. Resteremo solo noi, testimoni frastornati di un passato e di un presente che non hanno saputo diventare futuro.

Con amicizia

Francesco “baro” Barilli

lunedì 26 gennaio 2015

Vogliamo ragionare su quanto successo a Cremona?

Per una serie di questioni personali, peraltro spiacevoli, non ero presente alla manifestazione di Cremona di sabato 24, convocata dopo la violenta aggressione effettuata da militanti di casa Pound a danni di Emilio, del CSA Dordoni. Chi mi conosce sa che ci sarei andato molto volentieri, anche per il mio legame con quella città. E prima di procedere oltre voglio mandare un abbraccio a Emilio, alla sua famiglia, ai suoi compagni e compagne.

Ho seguito on line diversi commenti sull’esito della manifestazione. Ne scelgo alcuni: persone che non si conoscono fra loro e che io invece conosco e stimo. Visto che non voglio far diventare questo articolo l’occasione per uno scazzo personale fra loro, li chiamerò Soggetto 1, Soggetto 2 eccetera, nominandoli al maschile per renderli totalmente impersonali. Sintetizzerò brutalmente le rispettive posizioni, mantenendo ovviamente il contenuto.

Soggetto 1: era alla manifestazione e l’ha abbandonata disgustato, quando una minoranza di violenti ne ha stravolto il senso originario. Molti, afferma, hanno fatto come lui.

Soggetto 2: dice l’esatto opposto. La versione di un corteo “rovinato da una minoranza di violenti” è falsa: la maggioranza dei manifestanti era compatta nel condividere le modalità “più dure” della manifestazione. Dice, soprattutto, che quella “maggioranza dura” esprimeva essa stessa il senso con cui l’iniziativa cremonese era stata convocata.

L’idea che uno dei due stia raccontando balle può sorgere spontanea. Ma, come ho detto, li conosco entrambi: mi sento d’assicurare che non stanno mentendo. Qualcuno potrebbe dire “la verità sta nel mezzo”: perdonatemi, m’è sempre sembrata una sciocchezza. Non c’è bisogno di filosofeggiare sul significato profondo di “verità”: sì, a volte è equidistante fra due versioni, altre volte pende decisamente da una parte.
Dunque, Soggetto 1 e Soggetto 2 non mentono, hanno solo percepito una realtà diversa. Lo dico senza ironia: che più osservatori forniscano in buona fede ricostruzioni diverse dello stesso evento è più normale e frequente di quanto si possa pensare.

Decido dunque di approfondire…
Franco Bordo è un parlamentare di Sel. Non lo conosco e sapete la mia scarsa opinione di Sel. Di lui faccio il nome perché il suo ruolo lo rende diverso da “Soggetto 1 e 2”: per lui è corretto riportare con nome e cognome quanto dice su Facebook: “Questa era la testa del corteo antifascista di Cremona, pacifico e molto partecipato. Con un colpo di mano, un gruppo di violenti ben organizzati ha obbligato la testa del corteo, moglie di Emilio inclusa, a farsi da parte per dar vita ad un pesante scontro con la polizia. Questo non è antifascismo”.

Quindi c’è un primo elemento da verificare: che alla testa del corteo ci fossero i familiari di Emilio, suppongo assieme ai compagni più stretti, mi sembra naturale. Sono stati allontanati dai ragazzi con caschi e bastoni? Oppure il cambio alla testa del corteo era o è stato concordato?

Arrivo quindi a Soggetto 3: arrivava da fuori Cremona. In tanti, dice, come lui sentivano l’esigenza di una manifestazione antifascista, dopo l’aggressione ad Emilio. Sostiene che molti compagni se ne sono dovuti andare poco dopo la partenza del corteo, quando il cordone “armato” s’è messo alla testa del corteo, imponendo la propria presenza e la propria modalità di manifestare.

Incuriosito, cerco un comunicato del CSA Dordoni. I più colpiti, anche umanamente, dal dramma di Emilio e i più titolati a dire come è andata. Lo riporto integralmente (sottolineature mie).
“Ieri, sabato 24 Gennaio, diecimila antifascisti hanno attraversato le vie di Cremona per ribadire la propria solidarietà ad Emilio ed ai militanti del centro sociale Dordoni aggrediti domenica pomeriggio fuori dallo spazio autogestito di via Mantova.
Il corteo si è mosso con determinazione verso la sede locale di CasaPound, da cui in questi ultimi mesi sono partite numerose aggressioni ai danni degli antifascisti/e cremonesi.
Sabato è stata data una risposta forte e chiara: chi tenta di uccidere un compagno ne paga le conseguenze!
Che cosa ci si poteva aspettare dopo la gravissima aggressione di domenica 18 gennaio, quando sessanta fascisti hanno lasciato in fin di vita  Emilio, storico compagno del centro sociale, colpendolo ripetutamente con spranghe e calci in testa?
La polizia, connivente e complice con i fascisti, ha permesso domenica sera a sessanta assassini di andarsene indisturbati dopo il tentato omicidio premeditato e, successivamente, ha caricato il presidio di solidali accorsi sul posto dopo la diffusione della tragica notizia.
Dopo tutto ciò, che cosa ci si aspettava?
In migliaia si sono mossi uniti e compatti, con buona pace della questura che ha dichiarato una partecipazione di sole duemila persone, verso il covo fascista che da un anno a questa parte è il luogo da cui partono azioni squadriste ai danni di attivisti politici, migranti e studenti; sede che la polizia era schierata a difendere.
I fascisti di CasaPound che hanno tentato di ammazzare Emilio e la Polizia che ha permesso loro di compiere indisturbati il vile agguato sono i soli e unici responsabili della tensione che si è creata ieri a Cremona!
I danneggiamenti di banche e del comando della Polizia Locale, avvenuti sul finire del corteo, erano ampiamente evitabili; ma in un corteo di tali dimensioni non potevamo controllare tutto.

Dopo l'attacco premeditato e scientificamente organizzato di domenica pomeriggio al centro sociale Dordoni, con Emilio che ancora lotta per la vita in un letto d'ospedale, la rabbia nel corteo era tanta: i responsabili di tutto ciò rimangono gli assassini di CasaPound e la Questura di Cremona.
L'Antifascismo non è un vuoto rituale commemorativo, ma valore e pratica quotidiana: dai picchetti contro gli sfratti, nelle lotte contro lo sfruttamento e la miseria, fino alla giornata di ieri!
Un ulteriore abbraccio a Emilio e a tutta la sua famiglia!
#EmilioResisti
I compagni e le compagne del CSA DORDONI”


Il comunicato mi sembra dire:
- La tensione creatasi al corteo del 24 è conseguenza di quanto successo il 18: è colpa dei fascisti, che hanno aggredito Emilio, e delle forze dell’ordine che li hanno protetti.
- Il CS Dordoni concorda sul fatto che il corteo dovesse muoversi verso la sede di casa Pound, ma non ha voluto gli scontri e in parte li condanna (“I danneggiamenti di banche e del comando della Polizia Locale … erano ampiamente evitabili”).

Qui comincio ad esprimere una mia valutazione. NON “politica” ma sul piano logico e magari erronea (ricordo che mi esprimo su testimonianze raccolte, non su osservazione diretta): il comunicato mi sembra debole e imbarazzato.
E’ sacrosanto convocare una manifestazione dopo l’aggressione del 18. Ed è logico ci siano rabbia e indignazione: il punto è vedere “come” le si vuole esprimere, sapendo che il corteo sarà molto partecipato e con sensibilità diverse. Il Dordoni è, politicamente, il soggetto più coinvolto: prima dell’evento sta a lui stabilire cosa “si deve fare”, cosa “si può fare”, cosa “si può accettare”, cosa “si deve rifiutare”.

A questo punto guardo i video degli scontri per chiarirmi le idee.
Effettivamente all’inizio il corteo è aperto da uno striscione. Dietro, molte persone e molte bandiere.
Ad un certo momento lo scenario cambia, arrivano ragazzi con caschi e bastoni e si mettono “a cordone”, alla testa. Da questo momento le immagini si fanno più confuse, ma non riesco più a vedere le molte bandiere e gli striscioni precedenti. La sensazione è che abbia ragione Soggetto 3 quando dice che molti hanno scelto di allontanarsi poco dopo la partenza.
I poliziotti tirano lacrimogeni come li avessero comprati in svendita all’Ikea. Ma arretrano, mantengono sempre una distanza fra sé e il fronte dei manifestanti. Su altre fonti leggo che ci sono stati dei feriti, ma nei video non si vedono arrivare a contatto le forze dell’ordine e i manifestanti. Non sembra una riedizione di Genova 2001, sembra un balletto: sassi e fumogeni contro sassi e lacrimogeni. Più che uno scontro sembra il preliminare di una rissa che entrambi i contendenti vogliono evitare. In questo contesto anche l’assalto alle banche appare uno stanco rituale: ricordo che l’iniziativa di Cremona era in solidarietà a un compagno gravemente ferito, contro casa Pound e le sedi fasciste. Fumogeni e lacrimogeni sembrano una festa di San Pietro (chi è di Cremona mi comprende) sui generis e fuori stagione.

Provo a tirare le conclusioni. Mie personali e assolutamente criticabili.

1. Casa Pound è protagonista di una smaccata apologia del fascismo. Che una simile realtà sia non solo tollerata ma addirittura coccolata è scandaloso. Quest’anno cade il settantesimo anniversario della liberazione dal nazifascismo. Una liberazione ottenuta combattendo, non sfilando coi palloncini colorati. Ricordarlo è un dovere. E così pure metterlo a cappello di queste conclusioni.
2. L’antifascismo deve farsi testimonianza culturale costante nella società. Il fascismo lo si combatte innanzitutto mostrandone l’orrore, combattendo il revisionismo storico, sottolineando le alleanze odierne (con la Lega in primis) e le colpevoli banalità sul passato (i vari “il fascismo ha fatto anche cose buone” e via dicendo). Senza questa attività preventiva, sfasciare vetrine per attestare la propria esistenza in vita non serve a nulla. E lo dico sul piano pratico, non su quello etico. Non m’interessa parlare di cosa è giusto fare e cosa no: vorrei parlare di cosa è utile fare, di cosa è inutile e di cosa è, addirittura, controproducente.
3. Qualcuno dirà “E le sedi di casa Pound non vanno forse chiuse? Agendo sul piano culturale, senza una dura reazione nei fatti non si ottiene nulla!!!”. Vero solo in parte: con un’attenta operazione culturale e di memoria quelle sedi non verrebbero neanche aperte. Al fascismo e ai suoi rigurgiti si deve impedire di trovare terreno fertile, così la malapianta non cresce neppure.
4. Una manifestazione non è fatta solo dai contenuti che si vogliono esprimere, ma anche dalle modalità con cui le si vuole esprimere. In questo campo, la forma è essa stessa sostanza. Poi, chiaro, le modalità possono essere diverse anche all’interno di una data manifestazione (è una ricchezza, non un difetto!) ma è bene che quelle diversità siano discusse prima. E accettate (allora si manifesta insieme) o rifiutate (e allora chi vuole può farsi una propria manifestazione, in altro tempo o luogo).
5. In questi casi in troppi vogliono solo sottolineare il proprio purissimo pedigree antifascista. Una sorta de “il mio antifascismo è più lungo del tuo!” che non m’appassiona. Ma l’antifascismo visto a Cremona è stato solo un’inutile rappresentazione muscolare e di facciata.

A chi invece volesse commentare “da destra”, dando dell’ipocrita a quei manifestanti allontanatisi dal corteo di Cremona perché “i violenti li si doveva isolare” (ho letto anche questo) rispondo solo di non dire cazzate, che facciamo prima.

Francesco “baro” Barilli

giovedì 15 gennaio 2015

Il “Dopo” di Licia Pinelli

Di Licia Pinelli mi hanno sempre colpito la dignità, la pacata fermezza, la capacità di sintesi. Tutte cose che ho ritrovato in “Dopo”, breve ma completo racconto della sua vita successiva alla tragica notte fra il 15 e il 16 dicembre 1969.
A qualcuno potrebbe venire il sospetto che la narrazione di Licia (che oggi ha 87 anni) sia mediata da un ghost writer. Chi ha il piacere di conoscerla personalmente quel dubbio non può averlo: altra caratteristica di Licia è una totale indipendenza intellettuale, e mai affiderebbe ricordi tanto intimi a un intermediario. Anche in “Una storia quasi soltanto mia” (Mondadori, 1982; ristampato e aggiornato da Feltrinelli nel 2009) la bravura di Piero Scaramucci stava nell’ascoltare e raccogliere, da giornalista abile e amico discreto quale è, la sua testimonianza, più immediata rispetto alla morte del marito. Ma pure in chi lo avesse davvero, quel dubbio sparirà non appena avrà letto “Dopo”: lo stile è proprio quello asciutto, ma non per questo meno toccante, della donna che ha dovuto aspettare quarant’anni perché lo Stato fornisse almeno un tardivo riconoscimento di “vittima innocente” a Pino Pinelli.

La storia di Giuseppe Pinelli è – almeno spero – nota a tutti quelli che mi stanno leggendo. Più volte ne ho parlato: per chi volesse approfondire segnalo solo questa mia vecchia intervista, proprio con Licia.
Giuseppe Pinelli era il ferroviere anarchico (ma a me piace ricordarlo anche come giovanissimo partigiano) che il 12 dicembre 1969 seguì spontaneamente, col proprio motorino, la polizia che lo aveva invitato in Questura. Da quell’ufficio uscirà la notte fra il 15 e il 16 dicembre, precipitando da una finestra del quarto piano. La sua memoria fu inizialmente infangata proprio dai vertici della Questura milanese, che lo dipinsero come pesantemente implicato nell’attentato di Piazza Fontana. La sua totale estraneità ai fatti fu chiara da subito… Ma non è su questo che si sofferma “Dopo”, né vuole soffermarsi questo articolo.

Il racconto di Licia parla di “una lotta per la normalità” come conseguenza di una vicenda che nulla ebbe di “normale”.

Due figlie, da crescere e proteggere da una tragedia che non è solo personale, ma intreccia i propri fili con una delle pagine più oscure della storia dell’Italia repubblicana, con un peso che avrebbe potuto schiantare chiunque. La vita deve andare avanti, innanzitutto per loro…

Poi ci sono gli incontri. Con il dottor Giulio Maccacaro, il primo a offrirle un impiego e con esso non solo un aiuto economico, ma soprattutto il ritorno a un clima di solidarietà umana. E poi quelli con Enzo Jannacci, Franca Rame, Camilla Cederna, il già citato Scaramucci e molti altri. Tutti accanto a lei, in diversa forma e misura, nella denuncia dell’ingiustizia subita, nella ricerca di verità e giustizia, nel mantenimento della memoria di Pino. Una lotta che da 45 anni Licia conduce in prima fila e che oggi vede come protagoniste anche le due figlie, Claudia e Silvia.

Nel suo pamphlet Licia riesce, con il suo stile sereno ed essenziale, a raccontare una storia che è insieme personale, familiare, politica. Arricchendola persino con sfaccettature gustose (come un certo misticismo, un lato della sua personalità che non conoscevo e mi ha sorpreso, oppure la sua partecipazione al coro del maestro Bordignon, a cui si unì come contralto).

Ma non perdete altro tempo nel leggermi: “Dopo” è disponibile in e-book (per informazioni cliccare qui): andate a scaricarlo…

Francesco “baro” Barilli