venerdì 20 ottobre 2017

“Loving Vincent”: Van Gogh avrebbe meritato di più della somma di due cliché

Come promesso ieri su Facebook, ecco il mio giudizio su Loving Vincent. Non ho molto tempo, quindi scrivo solo una serie di appunti: scusate dunque sintesi e brutalizzazione dei concetti.

- Devo spoilerare alcune scelte narrative (chi vuole evitare anticipazioni si fermi ora…). Nel film si immagina che Armand, figlio di Joseph Roulin (il postino amico di Vincent durante il suo soggiorno ad Arles) sia incaricato dal padre di recapitare un’ultima lettera di Vincent al fratello Theo. Quando Armand riceve l’incarico è passato un anno dalla morte del pittore, e pochi mesi da quella di Theo (quest’ultima circostanza è però sconosciuta ai Roulin). Armand, quindi, solo nel suo viaggio scopre la morte di Theo e di non poter compiere la “missione originaria”; a questo punto la “trasforma” in un’appassionata ricerca sugli ultimi giorni dell’artista.

- L’espediente narrativo ci sta, ci mancherebbe. Il punto è che la ricerca di Armand diventa presto una vera e propria indagine, in cui il figlio del postino interroga (col piglio, appunto, dell’investigatore) vari personaggi, fra cui Marguerite, figlia del dottor Gachet (il medico che assistette Vincent nelle poche settimane che questi passò ad Auvers prima della morte) e Adeline Ravoux (figlia degli albergatori da cui Vincent pernottava, sempre ad Auvers).

- Il film suggerisce l’esistenza di una relazione fra Marguerite e VG, e accredita Adeline come testimone delle sue ultime ore.

- Adeline aveva 13 anni quando VG morì. Nel film, per esigenze narrative, viene rappresentata un po’ più grande. E’ vero che Adeline, in età anziana, lasciò una lucida testimonianza sulla fine di Vincent, ma precisa che (per la sua giovane età) in realtà lo vide tornare alla locanda gravemente ferito, e gli altri particolari le furono riferiti dal padre. Nella sua testimonianza, Adeline è effettivamente tagliente verso il dottor Gachet, ma non menziona mai Marguerite, né formula accuse ai Gachet (padre e figlia), come invece accade nel film.

- Che Vincent avesse avuto una storia d’amore con la giovane figlia di Gachet è sostenuto anche da uno dei numerosi film sul protagonista (“Van Gogh” di Maurice Pialat; 1991, disponibile solo in francese). In realtà la relazione Vincent/Marguerite non è certa. Chiaramente, un film può prendersi tutte le libertà narrative che sono ritenute opportune dagli autori. Non è questo il nocciolo della questione.

- Ad un certo punto, il film presenta un passaggio interessante, in cui Marguerite risponde ad Armand una cosa tipo “perché vi intestardite tanto sulla morte di VG? Non sarebbe più interessante cercare di capire la sua vita?”. Una bella frase, ma paradossalmente è il film stesso a disinteressarsi del consiglio…

- “Come è morto Vincent Van Gogh?”, o addirittura “Chi ha ucciso Vincent Van Gogh?” sarebbero stati titoli più onesti, invece di “Loving Vincent”. Avrebbero meglio rappresentato lo spirito della pellicola, che vira in fretta verso il giallo/noir (il “mistero” sulla morte di VG). Sia chiaro: fare “un giallo sulla morte di VG” è operazione legittima, ma in questo caso il lungometraggio era stato presentato come un commosso omaggio al grande pittore: ne esce, invece, qualcosa di diverso. La ricerca artistica di Van Gogh, la sua ossessiva passione per la pittura (che occupa spesso gran parte delle sue lettere, a Theo e ad altri), le sue intuizioni cromatiche e materiche NON appaiono, se non di sfuggita. Così pure, se anche il film avesse voluto indagare “l’uomo” più che “l’artista”, restano praticamente esclusi personaggi fondamentali, a favore di Adeline e Marguerite che, francamente, nella vita del pittore sono state assai meno importanti di altri: il fratello Theo, la cognata Johanna, il primo “vero amore” Sien, i genitori… Tutti personaggi che compaiono poco o per nulla.

- Il risultato della “indagine di Armand” è, in sostanza, che VG sia stato probabilmente vittima di un colpo di pistola sparato da un ragazzino che aveva “preso di mira” l’artista.

- Ricordo che Vincent, proprio sul letto di morte, sostenne di essersi sparato per uccidersi. E lo disse sia al padre di Adeline sia (soprattutto) all’amatissimo fratello Theo. Sinceramente non è comprensibile per quale ragione avrebbe dovuto mentire. Peraltro, sottolineo che se anche la vittima avesse voluto difendere, probabilmente per pietà, il proprio assassino (ipotesi che formulo per pura accademia) resterebbe la certezza che abbia comunque “accettato” la morte come una propria scelta o addirittura una liberazione: anche in questo caso, una sorta di suicidio.

- Per chi fosse interessato alla mia teoria (sottolineo: MIA personalissima teoria): sulla “malattia” di cui soffrì Van Gogh esistono molte ipotesi. Al di là del profilo squisitamente clinico, su cui non mi addentro, è pacifico che si trattasse di un complesso disagio psicologico ed esistenziale, che lo aveva già portato ad atti di autolesionismo di cui il più famoso è la parziale automutilazione dell’orecchio, dopo la celebre lite con Gauguin ad Arles. E’ mia opinione che pure ad Auvers Van Gogh abbia concretizzato un estremo atto di autolesionismo (infatti si spara all’addome), sfociato poi nella morte.

- Preciso nuovamente (meglio abbondare…): trasformare la fine di VG in un giallo/noir è operazione legittima. E il punto non è “questo non è quanto mi aspettavo”. Il punto, semmai, è “questo non era (non sembrava…) l’obbiettivo del film”. Un film in cui non emerge l’artista (se non secondo lo stereotipo “genio incompreso”) e non emerge l’uomo (se non come “individuo tormentato da demoni interiori”). VG avrebbe meritato di più della somma di due cliché.

- La tecnica usata per questo film resta originale e apprezzabile. Il film è frutto di anni di lavoro: vengono riprodotti non solo i quadri del protagonista, ma ogni inquadratura viene “trasformata” in un dipinto, ovviamente in “stile Van Gogh” (immagino esista il making of: dovrebbe essere molto interessante). Il risultato è tecnicamente intrigante. C’è qualche eccesso didascalico, ma non è questo ad inficiare il prodotto finale.

- Prima che qualcuno ipotizzi “strani motivi” che sottenderebbero la mia critica, urge una precisazione finale. Sì, ho visto Loving Vincent perchè è in lavorazione il mio fumetto su VG (Sakka ai disegni: non è un segreto, ne abbiamo già parlato in alcune interviste). Sono quindi andato a vedere il film per arricchire la mia conoscenza sull’argomento, per verificare eventuali errori in fase di sceneggiatura, ma SENZA pregiudizi: il film resta un prodotto diversissmo da quel che sarà il fumetto, l’uno non toglie nulla all’altro.

Francesco “baro” Barilli