lunedì 10 novembre 2014

Parlando di Lucca, di fumetti, del nostro passato e di ciò che ci aspetta…

Sono stato a Lucca Comics, quest’anno. Per la prima volta ero con mia figlia, e questo ha reso l’appuntamento speciale, per me.
Ma non sono qui per parlare di sensazioni personali, né di Lucca o di fumetti, se non lateralmente.

A Lucca ho incontrato Guido Ostanel: un amico, oltre che anima del BeccoGiallo con cui ho lavorato e lavorerò. Abbiamo parlato di un progetto futuro che non voglio anticipare, per scaramanzia e per correttezza nei confronti dell’editore. Guido con franchezza mi ha confidato alcuni dubbi: soprattutto sull’interesse che i lettori più giovani dimostrano verso tematiche cronologicamente datate (ripeto: datate SOLO cronologicamente, perché a ben guardare l’attualità ci sarebbe…).

Facciamo un passo indietro. Sono stato diverse volte a Lucca, da semplice visitatore. La mia “prima volta da autore” è del 2009 (per Piazza Fontana). Da quel giorno partecipo o assisto all’evento con occhi diversi, mi sembra naturale. Che Lucca sia cambiata è persino banale dirlo; ed è altrettanto banale interrogarsi se ciò sia un bene o un male: è cambiata, punto, e la mutazione, prima che positiva o negativa, va definita come inevitabile segno dei tempi. Ma non m’interessa parlare di segmenti del mercato in ascesa o in calo: ciò che ho notato, e m’importa, sono un paio di cambiamenti che altri potrebbero valutare – legittimamente – marginali. In pochi anni, ho visto innesti “generazionali” massicci e repentini di nuovi autori. E quel calo d’interesse rispetto ad alcune tematiche, storiche e datate, è stato verticale.

Sia chiaro: io scrivo con lo stesso impegno se vendo 1000 o 4000 copie. E sarebbe uguale se scrivessi per 20mila lettori, tanto per dire. Scrivo quello in cui credo, affronto temi che m’appassionano e che ritengo possano interessare un dato pubblico: se vasto o di nicchia è secondario, almeno per il mio approccio creativo. E, preciso subito, il progetto che ho proposto a Guido con ogni probabilità vedrà la luce il prossimo anno. Non scrivo, dunque, per una lamentela personale: oltre a non averne l’intenzione non ne avrei motivi.

Quello su cui mi interessa riflettere è altro.

Per anni una certa vulgata “di destra” ha sostenuto l’esistenza, nel passato, della famosa “egemonia culturale della sinistra”. L’ha fatto strumentalmente e in malafede, ma non senza ragioni. Nel senso che obbiettivamente va riconosciuto che la sinistra aveva una sua massiccia presenza non solo nella vita politica, ma pure nella cultura italiana. E questo, accanto a buoni frutti in ogni campo, ha sicuramente avuto riflessi negativi, non lo nego.
Ma, oggi, un ventennio in cui il comunismo (tanto per semplificare) è stato presentato come il male assoluto ci ha portato a un panorama specularmente opposto e tragico: il “pensiero di sinistra” è qualcosa di cui vergognarsi, anacronistico, dannoso…

(Anche la “sorpresa” con cui vengono accolte certe prese di posizioni dell’attuale Papa è significativo. Si tratta spesso di posizioni figlie di un semplice e moderato – certamente rispettabile – “cristianesimo sociale”, “rivoluzionarie” solo nella misura in cui le si mette a confronto con il clericalismo retrogrado e ferocemente conservatore a cui siamo abituati dall’ultimo ventennio. Ma tanto basta a creare clamore e imbarazzo nel “pensiero unico” imperante: quello della destra iper liberista – sul piano economico – e iper conservatrice – sul piano sociale e dei diritti. Non è questo il momento o il luogo per affrontare la complessa figura dell’attuale pontefice, ma la riflessione mi sembrava pertinente).

Tornando a noi, il “pensiero di sinistra” oggi è commentato, nella migliore delle ipotesi, come un insieme di utopie belle quanto irrealizzabili e prive di concretezza, perché “il mondo è cambiato”. Diverse spie linguistiche del renzismo lo dimostrano, in campo politico e sociale, ma ciò che mi ferisce (e, soprattutto, mi preoccupa) è il riflesso di un tale clima nel campo culturale. Per fare un esempio (sicuramente secondario, ma ha il pregio d’essere recente e quindi fresco nella mente di tutti), molti si scandalizzano per la volgarità sessista di un gelato succhiato da Madia, ma sono gli stessi che pensano si debba abolire il finanziamento pubblico all'editoria perché “è il mercato a stabilire quali testate sopravvivono”. Giustamente Carlo Gubitosa ha commentato: “scandalizzatevi pure di fronte alla cattiva stampa, ma ricordatevi che la subcultura trash non e' soltanto una causa di degrado, ma e' anche l'effetto di un pubblico degradato, e' uno specchio di cio' che siamo collettivamente in grado di esprimere come popolo”.
Il calo di interesse su tematiche “datate” (che fino a ieri facevano parte della nostra storia, facendoci vibrare d’indignazione al ricordo) è figlio anche di questo clima? Certamente sì.

Preciso: non ho soluzioni, né immediate né a lungo termine. Quel che posso fare, nel mio piccolo “orticello culturale”, è continuare a coltivare un seme di resistenza, nella consapevolezza che non ne vedrò i frutti e nella speranza che generazioni future possano invece beneficiarne. Tanto mi basta. E a voi?

Francesco “baro” Barilli

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