Pubblico di seguito due articoli scritti assieme al mio amico Sergio Sinigaglia.
Entrambi si riferiscono a "La piuma e la montagna",
libro che abbiamo curato e di prossima pubblicazione per Manifestolibri
(se guardate qui a fianco, nel mio profilo, trovate alcune indicazioni.
Potete saperne di più cliccando qui).
Il primo articolo è quello che dà il titolo a questo post, e riscontra
alcuni pezzi usciti in questi giorni sulla vicenda
Pinelli-Calabresi-Sofri.
Il secondo è una precisazione che è stata
pubblicata oggi su Il Manifesto, dove ieri è apparsa l'anticipazione
dell'intervista a Licia Pinelli che troverete ne "La piuma e la
montagna".
*****
In questi giorni si è acceso il
dibattito sulla vicenda della morte di Giuseppe Pinelli a partire da un
articolo di Adriano Sofri sul Foglio, dove, tra l'altro, si fa
riferimento all’intervista rilasciata da Licia Pinelli nel libro “La
piuma e la montagna”, da noi curato e di prossima uscita con
manifestolibri. Quell’intervista, prima ancora della sua pubblicazione,
corre il rischio di trasformarsi nella miccia che, nel riaccendere il
dibattito su quegli anni, porti di nuovo all'affermazione della logica
del “muro contro muro”, riproponendo dinamiche appartenenti ad una fase
politica ormai ben lontana. Capiamo che la delicatezza del tema (più
corretto sarebbe parlare di temi, fra loro connessi, da Piazza Fontana
alla condanna di Sofri, passando per le morti di Pinelli e Calabresi)
possa portare le persone coinvolte a reagire, ogni volta che l’argomento
viene ripreso, in modo passionale e viscerale, ma crediamo che tutto
questo vada contro la necessaria riflessione su quei tempi, stando ben
attenti a non ricreare gli schieramenti di allora.
Ma andiamo con ordine, partendo proprio dall'intervista a D’Ambrosio di sabato scorso [nota: su "Il Riformista"].
A molte affermazioni ha già risposto lucidamente Adriano Sofri il 22
settembre 2008, sempre su questo giornale, e ci limitiamo a qualche
sottolineatura. E’ inesatto affermare che la signora Pinelli sarebbe
tornata a sostenere certe tesi “dopo che Sofri ha riaperto il caso”.
L’intervista a Licia è del gennaio 2008, per cui la consecuzione logica e
temporale con cui si sono riaccesi i riflettori sulla vicenda è ben
diversa.
Sull’indignazione di D’Ambrosio di fronte alla formula del
“malore attivo”, che lui sostiene di non avere mai utilizzato, diremo
che se Sofri, nel titolo del suo libro del 96 che raccoglieva e
commentava la sentenza del 75, ha parlato di “malore attivo” non ha
detto una falsità. Ha solo semplificato e sintetizzato quella che nel
dispositivo fu definita l’ipotesi più verosimile per la caduta di
Pinelli, una semplificazione aderente ai concetti che in quella sede
venivano espressi (dove si parla di “precipitazione per improvvisa
alterazione del centro di equilibrio”).
Irrita maggiormente, nell’intervista a D’Ambrosio, l’adombrata esistenza di una “lobby per Pinelli”.
Non solo, naturalmente non esiste nessuna lobby, ma Francesco Barilli,
che ha curato l'intervista alla Pinelli, ha 42 anni, e non ha vissuto
direttamente quei tragici fatti; conosce da tempo Licia e ha seguito il
caso del marito per passione civile.
Da quasi quarant’anni la
signora Pinelli sostiene che su tutti quelli che collaborarono a quel
fermo di polizia terminato tragicamente grava una responsabilità, morale
se non penale, nella morte del marito. Tutto questo senza aver mai
voluto ricondurre il fatto ad una sorta di guerra “Pinelli contro
Calabresi”. Proprio quella semplificazione ha già causato abbastanza
lutti e dolori.
La morte di Giuseppe Pinelli, riprendendo ancora
concetti che Francesco espose al figlio del commissario in una lettera
aperta dello scorso luglio, non la si può cristallizzare nell’istante
della precipitazione. La vicenda comincia prima di quell’ultimo
interrogatorio e finisce dopo. Comincia col suddetto fermo di polizia
(svoltosi in termini e modi contrari alla legge e questo lo conferma
pure la sentenza, come già ricordato da Sofri). Termina con una campagna
diffamatoria verso la vittima, di cui si volle sostenere il suicidio e
il coinvolgimento nella strage di piazza Fontana. Queste due menzogne,
acclarate anche in sede giudiziaria, furono portate avanti
nell’immediatezza dei fatti e per diverso tempo in seguito, se non col
consenso almeno con l’acquiescenza di tutti quelli che parteciparono a
diverso titolo agli interrogatori di Pinelli, nessuno escluso.
Non è
nostra volontà tentare una sgradevole graduatoria d’importanza o di
gravità fra la campagna denigratoria subita da Pinelli e quella che
immediatamente dopo subì Luigi Calabresi (dal tragico esito e
giustamente condannata), ma va sottolineato che a quella contro il
commissario parteciparono movimenti, intellettuali e artisti, a quella
contro il ferroviere anarchico partecipò lo Stato. Forse per questo è
stata rimossa dalla memoria collettiva.
Concludiamo rilevando
che scopo del nostro libro, come argomentiamo nella presentazione, è
quello di fare uscire dall'oblio vicende ormai rimosse, dimenticate,
evitando di contrapporre morti a morti, ma valorizzando la scelta di chi
allora, come tanti altri, optò per l'impegno pubblico, pagando con la
vita. Con la “La piuma e la montagna” abbiamo voluto evidenziare come
quel decennio non possa essere riduttivamente definito “anni di piombo”
perché l'Italia di allora era anche un Paese attraversato da grandi
movimenti di massa che lottavano per diritti sociali oggi sempre più
messi in discussione. Il nostro libro, attraverso le testimonianze dei
familiari e degli amici di undici uccisi per mano delle forze
dell'ordine e dei neofascisti, parla di quell'Italia.
Francesco Barilli e Sergio Sinigaglia
*****
Perché “La piuma e la montagna”
Nel ringraziare il Manifesto per l’attenzione e lo spazio concessi
all’intervista a Licia Pinelli, vorremmo fornire alcune precisazioni,
sulle quali concorda la signora Pinelli, che ci ha telefonato.
Ci
sembra che l’occhiello e il sottotitolo scelti per l’articolo taglino
con l'accetta concetti in realtà diversi o comunque ben articolati.
Infatti Licia non ha detto “Pino, vittima di Calabresi”, né “Mario
Calabresi ha scritto un libro che, per difendere la memoria del padre,
offende la nostra”.
Capiamo che un sottotitolo o un occhiello
debbano attirare l’attenzione del lettore e quindi a volte la sintesi
possa contrastare con la complessità dell'argomentazione.
Ma al di
là di queste osservazioni, quello che ci preme è far sì che il dibattito
e la riflessione attorno al nostro libro evitino di imboccare il vicolo
cieco della contrapposizione frontale, riproponendo gli stessi
schieramenti di allora, cosa grottesca e inutile. “La piuma e la
montagna” nasce dall'esigenza, lo spieghiamo diffusamente nella nostra
presentazione, da un lato di valorizzare chi allora, come tanti, scelse
l'impegno politico pubblico, con passione e altruismo, e pagò con la
vita questa scelta. Dall'altro evidenziare come continuare ad
etichettare quel decennio come “anni di piombo” sia riduttivo e
sbagliato, perché in quel periodo il nostro Paese fu attraversato da
grandi fermenti sociali, dei quali parlano diffusamente i familiari e
gli amici da noi intervistati. Ne emerge un'Italia, inevitabilmente
molto lontana, dove migliaia e migliaia di giovani lottavano per ideali,
oggi sempre più calpestati.
Ecco perché pensiamo che la
discussione che inevitabilmente sta nascendo sul nostro lavoro debba
evitare di riproporre logiche e semplificazioni dannose quanto inutili,
anche nel rispetto di chi, faticosamente, ha deciso di raccontare di
nuovo fatti così dolorosi che hanno cambiato completamente la loro vita.
Francesco Barilli e Sergio Sinigaglia
mercoledì 24 settembre 2008
martedì 9 settembre 2008
Il delitto Pasolini
Segnalo che nei prossimi giorni arriverà nelle librerie e nelle fumetterie la nuova edizione de “Il delitto Pasolini”, di Gianluca Maconi, per l’editore BeccoGiallo.
Anche per questo volume, come in passato per “Ilaria Alpi, il prezzo della verità” e per “Dossier Genova G8”, sempre degli amici di BeccoGiallo, ho curato gli approfondimenti.
Questa edizione sarà accompagnata anche da una nuova prefazione di Furio Colombo.
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