Prima di iniziare devo spiegarti la
Strategia di Lettura delle Due Torri.
Di fumetti da leggere ne ho talmente tanti che
sono impilati in due torri su uno scaffale. Una non basta, collasserebbe su se
stessa.
Quando prendo un fumetto nuovo finisce su
una pila. Al massimo, se sono cose seriali, cerco di mantenere l’ordine, in
modo da leggere il numero 1 prima del 3, capiscimi. L’ordine di lettura, per il
resto, è “a cazzo”: scavo negli strati geologici delle due torri e lo piglio.
Ok, te lo concedo e l’ammetto: è una strategia
stupida. Ma non ho tempo di fare di meglio.
La Strategia delle Due Torri viene stravolta
in poche situazioni. Di solito, succede se sfoglio un fumetto e qualcosa mi
colpisce.
Ora, tieni a mente questa cosa delle Due Torri.
Apro “Italo”, di Vincenzo Filosa. E trovo,
all’inizio, alcune tavole in cui l’autore “strizza” la griglia, la comprime
come una gabbia in cui la realtà e l’incubo si mischiano, in vignette sempre
più piccole e “pipe” sempre più angoscianti.
Allora mi dico che devo leggerlo senza impilarlo. Che messa
così suona proprio ridicola. Sembro Ash che dice “scelgo te” a un Pokemon… Ma è
così che è andata.
Adesso magari ti aspetti una recensione.
Giusto, legittimo. Però non le amo, anche se in passato ne ho scritte. Dirti
però di cosa parla il libro non ho mai pensato sia tanto utile. Vai su Amazon o
cose del genere e trovi una sinossi: vedi l’argomento, decidi se t’interessa e bene così.
Dirò solo che è un racconto ruvidamente autobiografico, ritratto di una discesa
nell’abisso di un uomo incasinato e sofferente, stressato da mille casini,
mostrato in tutte le bassezze e l’individualismo e le miserie a cui, portati
dalle circostanze, si può arrivare. E poi, sempre senza indulgenza o retorica, il
racconto ci mostra il protagonista tornare a vedere la luce.
Insomma, invece della solita rece, ti regalo
un aneddoto.
Sarà stato il 1983. Bevevo spesso e troppo.
Non ero dipendente, avrei potuto smettere o almeno credo o così mi piace pensare.
Un paio di volte mi trovai a dormire nell’androne di qualche condominio, senza
ricordarmi come ci fossi finito. Una volta, in un vano scale… Ma non c’entra, adesso
la mia nuova amica, Sclerosi, lo renderebbe impossibile oltre che ancora più
stupido. Era per darti il contesto.
Scoprii Bukowski: probabilmente non avrei
scritto una riga in vita se non mi fosse capitato quell’incontro virtuale.
Sicuramente anche lui scriveva di sé.
Sicuramente avrà infarcito la biografia di elementi di fantasia, avrà esagerato
e ingigantito tanti particolari. E non voglio tracciare un parallelismo fra il suo
disagio, quello mio, o quello di Italo/Vincenzo.
Il punto è un altro. Dell’autore di “Factotum”
o “Storie di ordinaria follia” mi conquistò la ruvida sincerità. Perché, lo
senti se lo leggi, lui era sincero anche quando esagerava o cazzeggiava.
Fine dell’aneddoto. Torno a pochi giorni
fa.
Ero a Cremona, quando Vincenzo l’ha presentato
(il libro suo, mica uno di Bukowski. Non perdere il filo, su…). Porto con me il
piacevole sapore della chiacchierata che abbiamo fatto al termine della
presentazione.
(Anche di quello che ha detto durante, eh,
solo che sono mezzo sordo e sentivo una parola sì e tre no… quindi non so se
lui abbia specificato se il racconto è totalmente autobiografico o quanti
margini di fantasia ci siano. A naso, non credo molti e in fondo non è importante
saperlo…)
Ma il punto, dicevo, è che a casa il libro,
invece che sulle Due Torri, è finito fra le mie mani, sfogliato fino a quella “griglia
strizzata” che ti dicevo. La lettura, poi, è filata via liscia in un’ora e ci
ho trovato quella ruvida sincerità che trovai nelle pagine di Bukowski.
La
vita è una bestia complicata e indecifrabile. Noi
(esseri umani, dico) siamo bestie complicate e indecifrabili. Non bastano
affetti o un lavoro che ti piaccia e “ti realizzi”: le nostre paure, le nostre
dipendenze, le idiosincrasie la cui esistenza neghiamo in primo luogo a noi
stessi, ci stringono la gola. E retorica o autoindulgenza non servono, nè a risolverle nè a raccontarle.
Educazione di un reazionario, recita il
sottotitolo del libro di Vincenzo. Perché in ognuno può esserci, o c’è, un
reazionario. Anzi, provo a spiegartelo meglio. In ognuno di noi c’è un mediocre.
Conoscerlo può significare sconfiggerlo, o almeno zittirlo e spiegargli chi
comanda.
E aiuta anche scriverne. Perché conosco i limiti
degli aforismi, ma Hemingway diceva “Scrivi forte e chiaro su ciò che fa male”,
o qualcosa del genere. E’ un bell’insegnamento, una bella bussola, dai. E
comunque, Vincenzo l’ha fatto.
Francesco "baro" Barilli