Non ho mai amato molto i Beatles. Ne riconosco la grandezza e il genio: nessuno, prima e dopo di loro, ha saputo produrre una simile serie di pezzi che ancora oggi, a decenni di distanza, suonano così attuali; nessuno ha saputo influenzare così tanto “il modo” di comporre una canzone. Insomma, seppure da incompetente della musica, ne capisco l’oggettiva importanza e l’unicità. Ma, semplicemente, i loro dischi (e ne possiedo diversi, sia chiaro) non sono fra quelli che porterei con me su un’isola deserta.
Idem dicasi della produzione solista di Lennon. E Imagine, il suo brano più famoso, non m’ha mai scaldato più di tanto. Bella, certo, ma della musica di quegli anni amavo, e amo tuttora, Deep Purple, Led Zeppelin, il rock duro degli inizi o le sonorità più complesse di Genesis e Pink Floyd, per dire. La melodia semplice semplice al pianoforte di Imagine era piuttosto lontana dai miei gusti, e il testo mi sembrava bello quanto ingenuo.
Mi sbagliavo… Recentemente ho visto “USA contro John Lennon”, documentario sul periodo “più impegnato” dell’ex Beatle, duramente contrastato dall’amministrazione Nixon. Così m’è capitato di riascoltarla, quella canzone. E di trovarla stupenda.
Non ricordo chi ha detto che il suo dono è quello di “far suonare” le sue parole con la musica più appropriata. Un testo semplice scorre su una melodia immediata e avvolgente: una composizione in cui testo e musica procedono in perfetta armonia. Ma, soprattutto, il pacifismo di Imagine ha cessato di sembrarmi banale e “adolescenziale”. Le affermazioni di Lennon sono in realtà taglienti: affinchè si possa creare un mondo diverso e migliore si deve, innanzitutto, desiderarlo. E per mantenerlo non dovrebbero esistere nazioni, religioni, desideri di possesso. Concetti rivoluzionari oggi quanto allora.
La tragica e prematura morte di Lennon (ucciso l’8 dicembre 1980) ha fatto diventare quel brano, che già prima era il suo pezzo più celebre, una sorta di “inno depotenziato”. Tutti possono canticchiarlo, fregandosene del contenuto. Esattamente come feroci capi di stato hanno potuto sfilare per le strade di Parigi dopo l’attentato alla redazione di Charlie Hebdo: la retorica del potere offusca il quadro complessivo, lo piega ai suoi fini. Ed è purtroppo molto efficace.
E’ uno schema codificato: si rende un dato personaggio una sorta di immaginetta sacra (lo si è fatto anche con Mandela, per fare un solo esempio, ma ce ne sarebbero molti altri), depotenziando e banalizzando il messaggio di cui è stato portatore in vita. Citate pure Luther King, dategli ragione, ma poi agite nella direzione opposta; condannate iniquità e sfruttamento, ma non disturbate chi li produce e ne trae profitto; canticchiate Imagine, ma non mettetela in pratica. Questo sembra volerci dire chi detiene il potere… Ma ciò non toglie che quella canzone, con più di quarant’anni sul groppone, sia ancora bellissima e attuale.
Francesco “baro” Barilli