mercoledì 27 febbraio 2013

Voto (f)utile: riflessioni sparse sulle elezioni

Il fallimento dei sondaggi
Parto da una considerazione sicuramente marginale, ma interessante. Molti hanno sottolineato la notevole discrepanza fra i risultati reali e quelli dei cosiddetti exit poll. Pochi hanno ricordato che non si tratta di un fatto nuovo: le ultime tornate elettorali sono state tutte contrassegnate da grandi differenze fra “sondaggi istantanei” e risultati dello spoglio. Se un tempo era normale considerare attorno al 2% il margine di errore dei primi, oggi il punto non sta nell’allargare la forbice al 4 o al 7, tanto per dire, ma proprio nel fallimento del metodo.
E’ diminuita la professionalità o la competenza dei sondaggisti? Ci sono problemi con la scelta dei campioni statistici? Sinceramente non credo; penso che alla base ci sia altro. Almeno per quanto riguarda queste elezioni molti hanno votato PDL “vergognandosene” (e quindi “mentendo” all’intervistatore, rispetto alla scelta effettivamente fatta in cabina elettorale).
Ripeto, la considerazione è marginale, ma qualcosa ci dice… Innanzitutto dal punto di vista antropologico, per ciò che è “l’italiano medio”. In secondo luogo perché, nonostante i ripetuti fallimenti, state pur certi che alle prossime elezioni gli exit poll verranno riproposti, nella stessa forma e con gli stessi errori. Perché servono a far parlare le “seconde linee” dei partiti e i vari commentatori subito dopo la chiusura delle urne: non vorrete mica aspettare lo spoglio, che diamine, i tempi della politica li detta la TV!!! Tutte queste cifre sparate a casaccio servono alla spettacolarizzazione televisiva della politica, non certo alla politica in sé.
In altre parole – e andando alla sostanza – anche il fallimento del sistema dei sondaggi testimonia una politica ormai ridotta a puro involucro, vuoto di contenuti quanto zeppo di scritte pubblicitarie sulla sua buccia. La politica oggi è innanzitutto marketing, come qualsiasi prodotto commerciale. E, sì, l’Italia è un paese terribile anche per questo.

I voti a Berlusconi
Anche a sinistra spesso si è personalizzato il dibattito, quasi si potesse/dovesse scindere Silvio Berlusconi dal proprio elettorato. Spero che queste elezioni abbiano fatto capire che l’uomo di Arcore è specchio fedele di chi lo vota. L’ho già scritto ma lo ripeto per l’ennesima volta: dei molti mali d’Italia Berlusconi NON E’ (solo) la causa, ma (innanzitutto) l’effetto: è il prodotto dell’involuzione culturale dell’italiano medio, su cui l’ultimo trentennio di pessima politica, pessima televisione e informazione asservita al potere non poteva passare senza produrre effetti nefasti, esiziali per la convivenza civile e utili solo per produrre uno sciocco “spirito di setta” che NON E’ l’attualizzazione, ma bensì la grottesca deformazione del “sentirsi parte di un progetto comune”.
Detto questo, Berlusconi può essere soddisfatto dell’esito elettorale? Sì, senza dubbio può essere contento di aver perso “solo” la metà dei voti che aveva nel 2008. Dal giorno della sua famosa discesa in campo nel 94, grazie all’oggettiva potenza di fuoco a sua disposizione (mediaticamente parlando) non ha conquistato consenso, ma ha potuto solo sedimentare quello di chi gli crederebbe anche se promettesse di ridare la vista ai ciechi.
Sì, può essere contento di questo. E, sì, l’Italia è un paese terribile anche per questo.

L’exploit di Grillo e del M5S
Fatte le dovute proporzioni e considerati i vent’anni passati fra i due fatti, Grillo è stato capace di un boom persino superiore a quello di Forza Italia nel 94, pur avendo a disposizione risorse sicuramente inferiori a quelle del “Berlusconi 94”. L’ha ottenuto – oltre che facendo ricorso al web (da sempre “cavallo di battaglia” del Movimento 5 stelle) – utilizzando TV e media tradizionali proprio attraverso la sua assenza da questi. Se il cavaliere di Arcore è il paradigma dell’Italia ben rappresentata dai programmi Mediaset, Grillo ha saputo incarnare (più di altri che già ci avevano provato negli anni) l’antiberlusconismo; NON inteso come semplice contrapposizione agli scandali o alle leggi ad personam, ma come contrapposizione a un “modello”; culturale etico e comportamentale prima che politico. Lo so, non basta (non sempre per rovesciare davvero la visione di un oggetto è sufficiente guardarlo allo specchio) ma è pur sempre qualcosa; innanzitutto da capire.
Non ho tempo o voglia per fare lunghi discorsi sul movimento di Grillo: molto è stato già scritto, e sia chiaro che anch’io lo guardo con diffidenza, almeno per certe scelte/dichiarazioni. Ma vorrei fossero chiare anche (almeno) due cose:
a) Il M5S non è l’antipolitica, ma il prodotto della cattiva politica di questi anni (che è essa stessa la vera antipolitica).
b) Grillo NON mi rappresenta, ma ai compagni e alle compagne che lo guardano come fosse Mussolini vorrei ricordare, se non se ne fossero ancora accorti, che quando hanno lottato contro la TAV, per la sanità o la scuola pubblica, si sono trovati fianco a fianco con tanti e tante votanti del M5S. La constatazione vi piace? Non vi piace? Opzioni entrambe legittime, basta che vi rendiate conto del fatto in sé.

Di Monti…
…non parlo, l’ho già fatto in passato. Basti dire che il suo flop elettorale testimonia che:
a) indipendentemente dal fatto che si condividessero o meno i contenuti dei centristi che lui voleva rappresentare, Monti è “tecnicamente” incapace di fare propaganda politica. Il fatto – sia chiaro – considerando cos’è oggi l’Italia non è un difetto…
b) In Italia i moderati non esistono più da un pezzo. Potevano esistere all’epoca della vecchia DC; oggi sono una balla colossale inventata dai media. O, per meglio dire, più che un fatto sono un fattoide: “vero” solo nella misura in cui ne parlano i media, ma senza che il termine “moderato” abbia lo stesso significato che può avere in altri paesi europei.

Di Vendola e SeL invece…
… dirò che da anni veleggia sul 6% nei sondaggi (8 qualche anno fa) ma nella realtà non si schioda dal 3. L’aver scelto la subalternità al PD farà tornare SeL in Parlamento. Contenti loro…

“Finiremo come la Grecia”…
… è una cazzata colossale: noi siamo già come la Grecia. Solo, non ne abbiamo né la percezione (per ora il familismo all’italiana ha prodotto almeno questa ciambella di salvataggio, nel senso che le famiglie hanno ancora il salvadanaio pieno: rotto e finito quello non c’è più trippa per gatti) né la dignità… Ma anche qui cosa dovrei aggiungere? Basterebbe leggersi Pasolini sulla involuzione antropologica (ancora quella…) dell’italiano medio…

…E, a proposito della Grecia, ma anche di Ingroia e di Rivoluzione Civile…
Sono anarchico, non ho alcun interesse per “prendere il potere”, non avendo alcuna simpatia per il potere stesso. Non m’importa, parafrasando Vendola, “diventare maggioranza”: il mio “essere minoranza” non è qualcosa in cui crogiolarmi aristocraticamente, ma qualcosa di cui sono serenamente consapevole. Però ritenevo e ritengo utile una presenza della sinistra in parlamento, e gli ultimi anni (dopo la sciagurata avventura della Sinistra Arcobaleno, che ha segnato l’inizio della nostra sparizione dalle due camere) mi hanno rafforzato in questa convinzione. Non m’interessa “prendere il palazzo”, ma preferirei avere qualcuno, lì dentro, con cui posso almeno interloquire.
Dunque, sì, ho votato RC. Paradossalmente l’ho fatto con molti mal di pancia ma senza dubbi. I mal di pancia li conoscete/immaginate: si va a ritroso dalla composizione delle liste, con alcuni elementi duri da digerire, fino alla sconfessione di quel “modo diverso di fare politica” che forse avrebbe potuto davvero riconquistare parte dell’elettorato perduto negli anni. Il “senza dubbi” l’ho spiegato prima: posso solo aggiungere che per me, che seguo reti-invisibili dalla sua nascita, l’occasione di far arrivare in Parlamento una persona come Ilaria Cucchi era già sufficiente a farmi votare. Ilaria non è una donna “di sinistra”, ma è dotata di pulizia e onestà intellettuali. Non è “solo” il simbolo di “una” singola storia tragica e dolorosa: quella storia l’ha trasformata in una sincera paladina di molte battaglie che sento mie. Sarebbe stata un’ottima parlamentare, avrebbe parlato di tortura, di carceri e CIE, di diritti civili in generale… Peccato sia finita così…
Alcuni diranno che il mio è un atteggiamento di “piccolo cabotaggio”. Hanno ragione: credo che anche le piccole battaglie, i piccoli gesti di “resistenza intellettuale”, contino. Questo, in fondo, sarebbe stato il significato di portare Ilaria in Parlamento. Un altro mondo “può” essere possibile; cambiare “se ci si impegna” si può. Ma in tempi lunghi, non ora: per la mia generazione, il tempo delle occasioni è andato. Questo, sia chiaro, NON E’ un atteggiamento sconfitto: credo davvero che seguire reti invisibili, scrivere di Genova o delle stragi fasciste significhi coltivare memoria, gettare un seme che potrà germogliare nelle prossime generazioni. Non ora: a noi spetta il compito di coltivarlo, quel seme…
Leggo però che Ingroia addebita la sconfitta alla campagna del PD contro RC e all’oscuramento da parte dei media. Sul secondo punto si può essere parzialmente d’accordo. Il primo punto è un atteggiamento miope, per certi versi speculare alla campagna sul voto utile fatta dal PD. Secondo Ingroia il non raggiungimento del quorum è colpa di Bersani, che non ha voluto stringere alleanze con RC (badate bene: di questo Ingroia ha parlato non solo dopo, ma anche prima delle elezioni…). Ora, qualcuno mi spiega per quale motivo chi si sente alternativo al PD e al “pensiero unico e allineato” avrebbe dovuto votare RC, con queste premesse? E la costruzione di un soggetto politico che rispondesse a QUESTE esigenze poteva davvero essere affidato a Diliberto, Di Pietro e C.? Allontaniamo i dubbi: non è stata tutta colpa di Ingroia; un progetto di sinistra che sia davvero alternativo solido e credibile non lo si improvvisa, e questa campagna elettorale è stata, oltre che la più brutta, la più frettolosa che io ricordi. Ma dal fallimento della Sinistra Arcobaleno sono passati 5 anni; e questo porta pesanti accuse NON a Ingroia, ma all’intero gruppo dirigente di Rifondazione, Comunisti Italiani ecc.
Resta il fatto che la risposta di Antonio Ingroia (“colpa di Bersani e dei media”) è totalmente allineata al consueto, e molto “politichese”, dare la colpa agi altri del proprio fallimento. Rivoluzione Civile deve il proprio scarso risultato non solo alla tenaglia che l’ha stretta (fra “voto utile” e la sirena del 5 stelle) ma al fatto che non ha saputo rappresentare il cambiamento; innanzitutto nel “modo” di “fare politica”. Intendo anche questo quando dico che l’Italia non ha la dignità della Grecia. Se la crisi ha prodotto Syriza in Grecia e da noi il Movimento 5 Stelle qualcosa vorrà dire…

Francesco “baro” Barilli

mercoledì 20 febbraio 2013

A Parigi è successo che…

NOTA: questo resoconto è stato interamente scritto durante il ritorno da Parigi, lunedì 18 febbraio, prima sull’aereo e poi in treno verso casa. E’ stato trascritto al PC, volutamente senza correzioni (fatte salve alcune ripetizioni) il 20 febbraio 2013.
***

Aereo del ritorno, sono già seduto. I due posti accanto a me sono gli ultimi ancora liberi.
Già 3 quarti d’ora di ritardo. “Un piccolo problema tecnico”, ha detto più volte una voce che persino il mio incerto inglese e francese ha saputo tradurre. Cosa che, per dirla tutta, non m’ha tranquillizzato – è la prima volta che volo, ci tornerò più avanti – ma neppure spaventato – sono fatalista e sostanzialmente distante dalle emozioni forti. Ma il rinvio “per motivi tecnici” ora si allunga per le due assenze.
Arrivano i ritardatari. Lei è bella. Alta, sui 30, non bellissima ma bella. Occhi azzurri, arrossati e lucidi, penso non stia bene. Lui ha una barbetta rada, mi ricorda un attore che non riesco a decifrare, accento meridionale e Gazzetta dello sport in mano. Litigano subito; o meglio, la loro sembra la prosecuzione della lite che li ha fatti ritardare; non ne afferro il motivo. E poi non è esatto dire “litigano”: lei piange, lui la incalza in modo duro. Sembra napoletano (lo dico perché così mi sembra dal suo accento; lo dico affinchè anche il contorno fissi la narrazione: l’osservazione non conta se non per quello, “nessuno stereotipo è stato maltrattato in questo racconto”). Comunque dev’essere napoletano: quando mi giro verso di lui lo vedo leggere un articolo su Cavani e Hamsick: il Napoli – apprendo – ieri ha pareggiato.
Sono uno scrittore, diosanto, dovrei fare/dire qualcosa di intelligente/utile/forte, non resisto a un pianto femminile. Ma non succede nulla, anche perché lei inforca gli occhiali da sole, mi chiede scusa (“di nulla”, risponde Hemingway) e si mette a fingere di dormire mentre l’uomo sta leggendo il resoconto dello zero a zero del Napoli (Cavani e Hamsick all’asciutto, evidentemente). Ma, in effetti, fare/dire qualcosa di intelligente/utile/forte servirebbe più a me che non a lei: nulla è successo – di grave o importante; solo le piccole aritmie emotive di un amore, probabilmente.
L’aereo prende quota in fretta. Non provo neppure quella strana sensazione di sonnolenza dell’andata, 48 ore prima…

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48 ore prima: mai viaggiato in aereo, mai andato all’estero. In generale, mai provato attrazione per i viaggi, per il “vedere posti nuovi” (“l’unico infinito che m’interessa esplorare è quello dentro di noi”). Una strana sensazione fisica alla partenza, ma è simile – accennavo prima – a un sottile capogiro da sonnolenza. M’aspettavo qualcosa di diverso. Le Alpi e le nuvole, sotto di me. Più tardi, più in fretta di quanto pensassi, la terra si riavvicina (ancora quella piacevole e straniante sensazione di leggero torpore) e Parigi – per me – comincia sul serio, con l’incontro con Giustiniano e un paninazzo contenente di tutto e di più.
Giustiniano per 48 ore sarà un ospite perfetto e squisito (nota: mai capito perché in italiano chi ospita e chi viene ospitato è definito con lo stesso termine: lui, ovviamente, è “quello che ospita”). Non saprei definirlo meglio: è italiano, vive da anni a Parigi, ma se dovessi descrivere a Manuel un parigino da disegnare in una vignetta (“seduto a un tavolo da poeta francese”) descriverei lui, coi suoi capelli bianchi, i modi calmi e sicuri, una spiccata curiosità verso tutto ciò che riguarda l’umanità (e, quindi, intendo: “tutto”…), berretto in testa e sciarpa annodata al collo.

Da qui in poi, Parigi sarà una serie di flash. Alcuni magici: li appunto tutti.

(A Parigi c’è che) in confronto all’aeroporto di Malpensa, il Charles De Gaulle è come un elefante davanti a una cacca di mosca. Né per l’uno né per l’altro la considerazione deve essere intesa come pregio o difetto.

(A Parigi c’è che) di Giustiniano ho già detto. Posso solo aggiungere un grazie, per tutto.

(A Parigi c’è anche) Haidi, di cui ho già scritto molte volte, con lei abbiamo già fatto diverse iniziative. Penso: “abbiamo portato la storia di Carlo anche qui in Francia” e mi sento stupidamente orgoglioso (noi uomini siamo sempre stupidamente orgogliosi). Poi rimodulo il mio pensiero: la storia di Carlo era già stata portata in Francia, dieci anni fa; il merito stavolta è innanzitutto di Manuel, paziente e caparbio nel dire fin dall’inizio “si può fare!”.

(A Parigi poi avviene) l’incontro in Libreria. Vedo la copertina dell’edizione italiana e di quella francese in vetrina e mi sento stupidamente orgoglioso (seconda volta nella giornata, cazzo…). L’incontro è bello e caldo, non trovo parole migliori. Strana la sensazione di parlare a tanti italiani in terra di Francia. Sorprende il fatto che molti di questi sono giovani, emigrati oltre Alpe da dieci anni o poco più: anche questo, se ci si ferma a riflettere, fa capire quanto il mondo, la società, le prospettive dei giovani, tutto sia cambiato negli ultimi tempi. C’è anche qualche francese “indigeno”. In ogni caso si tratta di una platea diversa a quella a cui sono abituato in Italia: qui trovo la sete di sapere di chi ancora sa incazzarsi, non la parziale conoscenza di chi pensa che tutto sia già scritto e perduto.

(A Parigi trovo anche) Enrica Bartesaghi. E’ una sorpresa assoluta per tutti noi: presidente del Comitato verità e giustizia per Genova, è mamma di Sara, vittima nel 2001 della notte cilena della scuola Diaz. E’ la prima volta che vedo Sara. Bella la sensazione di trovarsi a Parigi per caso. (Enrica sapeva della presentazione del libro su Carlo; io non sapevo che lei sapeva, né che lei fosse lì dalla figlia Sara, nel frattempo diventata mamma; gli anni passano, per alcuni la vita è andata avanti: bene così).

(A Parigi poi avviene) l’incontro serale: dibattito sull’austerità con Caterina Avanza e Salvo Falcone, candidati per Rivoluzione Civile. Dibattito bello e onesto. Bella la compagnia, interessanti gli interventi, ben più che piacevole l’ambiente, dove spero di tornare presto. L’unico difetto è al tempo stesso un amaro pregio: è un incontro onesto dove traspare tutto lo scarso appeal dell’operazione politica denominata Rivoluzione Civile. Mi viene in mente un aneddoto: tanti anni fa – non ricordo di preciso dove, ma era in Toscana – conobbi un vecchio partigiano. Non ricordo neppure con precisione quale dolorosa lacerazione si fosse consumata pochi giorni prima, all’interno della sinistra (fra le tante consumatesi in questi anni post Genova 2001). Ricordo però che, a proposito di quella lacerazione, il partigiano mi disse: “Sono vecchio. Ho vissuto grandi speranze e grandi delusioni. Ho mangiato tanta minestra di dado e pane vecchio: non mi scandalizza mangiarne ancora. L’unica cosa che mi fa incazzare è quando mi chiedono di fingere che sia caviale e champagne”. Rivoluzione Civile ha almeno questa qualità: nessuno la vende per caviale e champagne… In prospettiva, si tratta di un piccolo tentativo di resistere… (Resistenza Civile sarebbe stata una definizione forse più adatta).

(A Parigi scopro che) la padronanza del francese da parte mia e di Gemma è assoluta. “Sil vu plè, une baghette. Une gross baghette…”. Funziona.

(A Parigi succede pure che) aiutiamo una signora a prendere una bottiglia di vino in uno scaffale inaccessibile: l’avermi sollevato di peso per arrivare al ripiano dov’era riposta l’agognata bouteille dev’essere costata un’ernia a Manuel e strappa un sorriso all’interessata.

(A Parigi avviene poi) una disquisizione sui massimi sistemi, su Marilyn Monroe, sullo stupro e sull’arte di Tori Amos.

(A Parigi portiamo) una testimonianza davanti alle tombe di Piero Gobetti e dei fratelli Rosselli, uccisi in Francia da uno stronzo che (dicono certi…) “in fondo ha fatto anche cose buone” e sepolti a Père Lachaise (scusa Jim: verrò anche da te, un giorno, a portarti un pacchetto di sigarette).

(A Parigi ci sono anche) Notre Dame, la Torre di Saint Jacques, una libreria magica nei pressi di Notre Dame, dove ragazzi suonano al piano Chopin (secondo Gemma è Bach, mi sa che ha ragione lei) la Senna e il Centro Georges Pompidou, tante altre cose, tante altre persone (mi scuso con chi ho dimenticato…) e pure uno spropositato numero di foto che scatta Gemma (in quasi tutte faccio lo scemo: le vedrete fra qualche giorno, spero).

(A Parigi poi) Manuel si supera in due dediche STREPITOSE per Haidi ed Elena, dipinte mentre la Tour Eiffel, sullo sfondo dalla finestra di Giustiniano, si mette in mostra con le sue luci (una vecchia signora che esibisce i suoi gioielli – un po’ kitsch, devo dire – ma che sa di essere ancora affascinante). Oltre alle due illustrazioni, Manuel scrive anche una dedica per Haidi, talmente bella che la so a memoria ma non la scriverò (è sua, è loro). Dopotutto, mi dico, siamo riusciti davvero a portare gli occhi azzurri e il sorriso di Carlo fino a qui. Almeno un pezzettino…

***

Ma ora si torna al presente, in aereo…
Il ragazzo sembra sinceramente dispiaciuto. Lei accetta un bacio sulla guancia, si appoggia sulla sua spalla, poi torna al suo riserbo scontroso e ferito. Lui le rimbalza un’uguale contegno ombroso e torna a un altro articolo: “I ghiacci artici si assottigliano, la calotta polare sparirà nel 2020?”, si chiede la Gazzetta.
Se il pilota dell’andata era sceso verso Parigi con un atterraggio morbido come un budino, quello del ritorno sembra aver pensato, nei pressi di Malpensa, “cazzo, quasi mi dimenticavo di scendere” e pianta una discesa ruvida, che però non cambia la mia sensazione di leggera sonnolenza.
Terminal 2 di Malpensa. Sono in attesa della navetta che mi porterà al T1 (poi, da lì, due treni per Centrale e Codogno). Alla fermata li vedo. Non si parlano, lui accende una sigaretta e guarda lontano. Lei fa un gesto che vorrebbe essere definitivo, ma riesce solo ad apparire stanco, e torna dentro al Terminal.
Aspetto pochi secondi, poi entro pure io. Vorrei solo dirle “Mi scusi. Lei mi sembra terribilmente triste. Ed è brutto essere tristi e soli. Arriveremo ognuno alla nostra stazione, scenderemo senza sapere nulla l’uno dell’altro, ma io non voglio rimanere col dubbio della sua tristezza, o col dolore di non aver saputo o potuto fare nulla, per lei”
Ma lei non c’è. Aspetto fino a perdere la navetta (che invece prende il ragazzo) ma lei è sparita e non prenderà neppure la successiva. E’ sparita come Alice richiamata dal suo specchio, voglio pensare, verso un presente di sogno e migliore…
Peccato, il mio sarebbe stato solo un piccolo gesto, in definitiva utile più alla mia autostima che non al suo morale, ma sincero. Del resto l’importanza di certi piccoli gesti è proporzionale alla nostra impotenza a cambiare le cose. E, in fondo, si può davvero fare qualcosa per qualcun altro? “Chi lo sa, chi vuole saperlo? Non io. Non io, disse il ragno alla mosca. Non io.”

Francesco “baro” Barilli

(ad altri scovare le citazioni nel racconto…)