domenica 26 luglio 2020

Riflessioni ai tempi del Covid

Alcuni di voi già sanno che abito a Codogno, e magari avranno letto cosa ho scritto nei mesi scorsi sui miei giorni da “prigioniero del Covid” (articoli pubblicati tutti da popoff). Si tratta di interventi nati per caso, quando ancora sembrava che la faccenda riguardasse solo il lodigiano. Non ci è voluto molto, poi, per capire che la tragedia avrebbe coinvolto/travolto tutta l’Italia e oltre, e così quei pezzi hanno cambiato progressivamente tono e taglio.
A un certo punto ho smesso di scriverne. Mi sono detto: il Covid ha già modificato le nostre vite, non gli permetterò di impadronirsi del mio immaginario. 
Però se rileggo quella sorta di diario trovo i pezzi molto “miei”. Inoltre, mi sorprende vedere (come accennavo prima) quanto la mia percezione e il mio tono, col passare dei giorni, siano andati mutando. 
Ho quindi recuperato quegli articoli. Li ho numerati e datati proprio per dare anche a chi li leggerà ora (a distanza di poche settimane, ma in un tempo artefatto che non ha la stessa portata di prima) la sensazione di questo mutamento d’animo vissuto in corso d’opera. 
Le vignette che accompagnano i pezzi sono tutte del mio amico Lele Corvi.
Buona lettura…










martedì 21 luglio 2020

Genova 2001, è importante ricordare l’odio

C’era ancora la lira. Vicino alla sua testa ricordo un biglietto (da diecimila, mi pare). E un accendino. E un sasso… Scusa, l’ho raccontato già molte volte: è a causa di quel sasso che la foto non riesco più a vederla, così non sono sicuro fosse un biglietto da dieci.
Lo skyline di New York era ancora caratterizzato dalle Twin Towers. Poco tempo dopo, dei criminali lo hanno modificato, infilandoci due aerei e uccidendo un sacco di gente.
Mia figlia era appena nata. Il motivo principale per cui io non c’ero, a Genova.
Tutto questo per dirti che le cose erano diverse. E grazie, dirai, son passati quasi vent’anni.
Che è vero. Fa strano pensarlo e non conta poi così tanto. Però è vero...

Oggi c’è l’euro. L’11 settembre fu una tragedia, per tutti quei poveri morti e pure per le conseguenze, che hanno ridefinito la politica internazionale e sconvolto la scala di priorità fra parole come diritti  e sicurezza (pochi lo intuirono subito, i più se ne sarebbero accorti negli anni, altri non l’hanno ancora capito).
E oggi mia figlia è matura, qualsiasi cosa voglia dire. In Alimonda poi ci è venuta, con me, in alcuni anniversari.

All’epoca il capitalismo era una crosta di sangue mal coagulato, non puzzava ancora di cadavere. C’era il carrozzone degli otto “grandi”. Vendevano una proposta di mondo già vecchia. Ma, dicevano, “non ci sono alternative”. Non era una novità: “there is no alternative” era un motto della Thatcher. Tutto sommato (e purtroppo) questo non è cambiato. Ma non voglio parlarti di queste cose. Ne ho già scritto.

Oggi ricordo l’odio. Un sentimento esploso nei giorni del G8, ma che affondava le sue radici in profondità. Un disprezzo per chi siamo, per cosa rappresentiamo, talmente vasto da impedire qualsiasi tentativo di capirci.
Sicuramente caratterizzò la Diaz e Bolzaneto. Nella scuola e nella caserma non c’era neppure la debole scusa delle tensioni di piazza (cerca di capirmi: quella non giustifica nulla, chiaro, ma rende possibile una spiegazione, se non altro secondo dinamiche bestiali). I poveracci finiti nei gironi di Diaz e Bolzaneto erano già nelle loro mani, ma questo non ha placato la violenza, la voglia di ferirli dentro, il tentativo di annientarli.
E pure in Piazza Alimonda, se ci pensi, puoi capire tutto con l’odio. Non solo i due spari, anche il sasso, le menzogne successive, il processo negato.

E’ importante ricordare l’odio, capirne il significato profondo. Altrimenti si può finire con l’addebitare quanto accaduto a semplici esagerazioni delle forze dell’ordine. Genova non è stata un’esagerazione, è stata una trappola, sapientemente preparata. Il cui fine era espropriare una generazione della sua proposta politica, in quel momento percepita come possibilità concreta da tanti, guardata almeno con simpatia da molti altri.

Una trappola riuscita. Il ventesimo secolo è finito lì, che a me dei tecnicismi da calendari importa poco, sono solo convenzioni. Il ‘900 si apre con Gaetano Bresci che uccide il re. Finisce con otto despoti chiusi in una cittadella, colpevoli dell’uccisione di un ragazzo e del massacro di un movimento.

Ecco, ti dicevo: non guardo più la foto. Però mi ricordo tutto. Perché voglio. Anzi, no: perché devo.

Francesco “baro” Barilli

sabato 18 luglio 2020

Nuova recensione a Piazza della Loggia

Mentre sei lì, contento per il libro appena uscito e magari a pensare a quello nuovo, arriva una recensione a un volume "vecchio", a cui hai fortemente creduto, probabilmente quello che ti è costato di più a livello di ricerche e di tempo di lavorazione...
Che dire? Solo che queste, e non altro, sono le vere soddisfazioni, in questo campo.
Un enorme grazie all'autrice della rece!