Te la faccio breve, caro amico. Nel limite del possibile, certo, ma su Belpietro non vorrei perdere troppo tempo.
Dopo la morte di Umberto Eco, il direttore di Libero ha ricordato che lo scrittore fu tra i firmatari del “famoso manifesto contro il commissario Luigi Calabresi”. E ha concluso: “una cosa però posso dire senza tema di essere smentito: è stato un cattivo maestro”.
Forse tu sarai sorpreso. Per me, invece, ciò che scrive Belpietro non è una notizia, me l’aspettavo. Il “manifesto contro Calabresi” è un evergreen: per gli editorialisti di Libero (o del Giornale) averlo sottoscritto è un marchio d’infamia, prova di un delirio generazionale. Ricordare la vicenda, per Libero, non serve ad omaggiare Calabresi o a condannare il suo omicidio: in versione riveduta e corretta, ha lo stesso scopo dei manifesti elettorali della DC negli anni ’50 (cercali in internet: “Madre! Salva i tuoi figli dal bolscevismo! Vota Democrazia Cristiana!”; ne troverai altri di gustosi).
Della vicenda Pinelli/Calabresi ho scritto molte volte, quindi non starò a riassumerla. Documentati, se vuoi. Ma ritengo necessario ripercorrere i fatti che portarono al famoso appello.
Devi sapere che, nei giorni seguenti la morte di Pinelli, Lotta Continua comincia ad accusare il Commissario Calabresi di essere il diretto responsabile della morte dell’anarchico. Nel 1970 Calabresi querela per diffamazione il periodico; il processo denominato "Calabresi/Lotta Continua" comincia nell’ottobre dello stesso anno. Questo processo, nel quale il Commissario si presenta come parte lesa, diventa ben presto il palcoscenico sul quale ridiscutere il caso Pinelli: processualmente, rimarrà l’unico. E incompleto.
Dopo alcuni mesi la corte dispone l’esumazione di Pinelli, per una nuova perizia. L’avvocato di Calabresi si oppone fermamente e chiede la ricusazione del Giudice. Nel maggio 1971 l’istanza di ricusazione è accolta e il processo, tolto al Giudice originario, viene quindi interrotto prima che la riesumazione sia effettuata.
L'Espresso pubblica il “famigerato” appello a inizio giugno 1971, corredato da dieci firme. Lo riproporrà nelle settimane successive, con un numero di adesioni che giungerà a circa 800.
Sui toni di quell’appello molto si è scritto. T’avranno detto che furono duri. E’ vero, e addirittura feroci furono quelli usati da Lotta Continua negli articoli contro Calabresi. E non verrò a parlarti “del contesto” e a dirti che “quelli erano tempi in cui…”. Allungherei il brodo e basta. E indagare “il contesto” è utile quanto scivoloso (quanti lo utilizzano per giustificare la propria coscienza? “Certo, fui colpevole, ma devi capire quei tempi…”). Lasciamo ad altri il sezionare la storia. A noi basti viverla.
Tu cerca di ricordare che quell’appello era contro un’ingiustizia. L’omicidio del Commissario Calabresi, prima che un’altra ingiustizia, è la pietra tombale sulle speranze che il processo “Calabresi Vs. Lotta Continua” aveva acceso. Viene posata su quanto accaduto nella notte fra il 15 e il 16 dicembre 1969 nella questura milanese.
Non si accusino degli intellettuali per avere chiesto che si cercasse la verità.
(La vicenda Pinelli si è poi chiusa il 27 ottobre 1975. Una matassa troppo intricata da dipanare per il dottor D’Ambrosio: lui esclude che Pinelli si sia suicidato - e quindi conferma che tutti quelli che dichiararono il contrario mentirono, ma senza approfondire le motivazioni che stavano alla base di quelle menzogne -; esclude l’omicidio, non trovandone le prove, e ritiene "verosimile" l’ipotesi di un malore.
Ma il caso Pinelli non lo si può cristallizzare nell’istante della precipitazione da quella finestra. La vicenda comincia prima di quell’ultimo interrogatorio e finisce dopo. Comincia con un fermo di polizia svoltosi in termini e modi contrari alla legge - e questo lo conferma pure la sentenza D’Ambrosio , seppure disponendo il proscioglimento del dottor Allegra, diretto superiore di Calabresi, perché il reato si era estinto per intervenuta amnistia. Termina con una campagna diffamatoria verso la vittima, di cui si volle sostenere il suicidio e il coinvolgimento nella strage di piazza Fontana.
Ma tu mi chiederai dell’appello, e con buone ragioni, avendoti promesso di non dilungarmi. Perdonami se mi son fatto prendere la mano).
Avevo 6 anni all’epoca del “famigerato” appello: sai dunque che posso evitare facilmente la qualifica di cattivo maestro. Ma, temo, potrei non sfuggire alla medesima qualifica ad honorem, perché quel documento non mi provoca alcuno scandalo. Avessi potuto firmarlo, sarei stato in compagnia di Moravia, Terzani, Pasolini, Cederna, Levi, Fellini e altri ancora. Un uomo non si giudica dalle proprie compagnie, ma se devo scegliere preferisco queste a Belpietro, che vuoi farci.
Interessante, infine, che Libero bolli come cattivo maestro Umberto Eco dopo aver dato spazio (se lo faccia ancora non lo so, mi scuserai se non seguo Libero…) a Franco Freda. E’ interessante, ti dicevo, antropologicamente prima ancora che politicamente.
O forse mi sbaglio. Cerco ragioni logiche dove la logica non può essere di casa, soppiantata com’è dalle ricostruzioni di comodo dei vincitori. Quell’inquietante specularità (Freda che scrive su Libero, che accusa Eco di essere un cattivo maestro) più di ogni altra cosa ci dice chi ha vinto e chi ha perso, in questo paese.
Ricordi cosa faceva il protagonista di 1984? Era incaricato di correggere libri e articoli pubblicati. Doveva modificare la storia scritta, per alimentare la fama di infallibilità del Partito. Orwell immagina un’applicazione della damnatio memoriae che Libero ha adottato scientificamente.
Mi chiedi dunque se sono triste o arrabbiato? Non so risponderti. Certamente sconfitto. Ma questa sera mi è stato sufficiente raccontarti questa storia.
Francesco “baro” Barilli