Nuova recensione, su arte.sky.it, che ringrazio!
lunedì 23 settembre 2019
giovedì 19 settembre 2019
Sull’assassinio di Elisa Pomarelli: alcune considerazioni, in volontario ritardo
Ho fatto passare alcuni giorni dall’assassinio di Elisa Pomarelli, per poterne parlare (almeno spero) con più tranquillità.
Anch’io ho seguito la vicenda e sono rimasto scandalizzato, come molti, dalla narrazione che ne è seguita. La retorica del “gigante buono”, il “raptus”, la “stupidaggine commessa”, il femminicidio compiuto “per l’amore non corrisposto”. Credo pure io che i due piani (il femminicidio e la successiva narrazione da parte di certi media) non siano scindibili. Esiste un problema irrisolto, che gli uomini (noi, tutti, anche io che ora sto scrivendo) dobbiamo affrontare. Il patriarcato crea ESATTAMENTE uomini come Sebastiani; li crea o può crearli. La narrazione malata e oscena che ne segue è, ALTRETTANTO ESATTAMENTE, figlia del patriarcato: si crea una narrazione subdolamente comprensiva verso l’assassino, si mette oscenamente in discussione la vittima e le sue scelte di vita… Elisa non è la prima ad essere finita in questo tragico loop, una violenza che prosegue anche dopo la morte.
(Una parentesi. In generale il discorso lo si potrebbe allargare a un problema sulla “violenza di genere”. E, da vecchio compagno quale sono, a mio avviso lo si potrebbe estendere addirittura a un discorso “di classe”. Nel senso che il patriarcato è fondamentale nel capitalismo e le donne sono una categoria oppressa di cui il capitalismo, per come è strutturato, ha bisogno. Ma non voglio ora inquinare il discorso con altri elementi, seppure interessanti).
Ho però letto frasi che non avrei voluto vedere, rivolte all’assassino. “Dovrebbe marcire in galera”, “dovrebbero impiccarlo”, “cosa importa delle sue motivazioni” e altro. Tutto questo, preciso, anche da parte di persone progressiste o di sinistra, per usare etichette utili solo a snellire il discorso (e precisando che sono molti i modi in cui ciascuno e ciascuna può declinare il proprio essere progressista o di sinistra). Non avrei voluto vederle, quelle frasi, perché non ci dovrebbero appartenere. E, chiaramente, qui mi sto riferendo a chi ritiene ancora importanti certi principi: la pena deve avere funzione rieducativa e non semplicemente punitiva (o, peggio, di vendetta); anche chi si macchia di un crimine orrendo ha diritto a una difesa e conserva i diritti inalienabili dell’individuo; ogni fatto, per quanto orrendo, va analizzato ANCHE nelle motivazioni che hanno sotteso il gesto (ivi comprese le condizioni psicologiche e l’eventuale disagio psichico del colpevole), senza che questo determini “vicinanza” verso il colpevole a discapito della vittima.
Chi mi segue sa già quanto io abbia amato De Andrè, anzi, sarà addirittura stufo di sentirmi ricordarlo tanto spesso. In una delle sue prime canzoni, La ballata del Michè, Faber ricordava con pietà il protagonista, che si era impiccato in cella dove stava scontando vent’anni per avere ucciso “chi voleva rubargli Marì”. Voglio pensare che Fabrizio avrebbe usato la stessa pietà se Michè avesse ammazzato, invece del rivale in amore, la “donna contesa”. No, non avrebbe usato la pelosa “comprensione” de Il Giornale, ma qualcosa di più complesso (e faticoso…). In De Andrè l’essere vicino alle minoranze (o persino il parlare di un assassino) non era frutto della snobistica inclinazione dell’intellettuale. Con la sua “vicinanza” (che certo NON implicava assoluzione) non esprimeva l’affinità di un intellettuale eccentrico, che alla fine non gratifica che se stesso, ma il mantenimento dell’umanità, di fronte a chiunque.
E, almeno credo, la voglia di costruire un mondo migliore passa soprattutto attraverso la conservazione della nostra umanità. Anche quando questo ci costa molto…
Francesco “baro” Barilli
Anch’io ho seguito la vicenda e sono rimasto scandalizzato, come molti, dalla narrazione che ne è seguita. La retorica del “gigante buono”, il “raptus”, la “stupidaggine commessa”, il femminicidio compiuto “per l’amore non corrisposto”. Credo pure io che i due piani (il femminicidio e la successiva narrazione da parte di certi media) non siano scindibili. Esiste un problema irrisolto, che gli uomini (noi, tutti, anche io che ora sto scrivendo) dobbiamo affrontare. Il patriarcato crea ESATTAMENTE uomini come Sebastiani; li crea o può crearli. La narrazione malata e oscena che ne segue è, ALTRETTANTO ESATTAMENTE, figlia del patriarcato: si crea una narrazione subdolamente comprensiva verso l’assassino, si mette oscenamente in discussione la vittima e le sue scelte di vita… Elisa non è la prima ad essere finita in questo tragico loop, una violenza che prosegue anche dopo la morte.
(Una parentesi. In generale il discorso lo si potrebbe allargare a un problema sulla “violenza di genere”. E, da vecchio compagno quale sono, a mio avviso lo si potrebbe estendere addirittura a un discorso “di classe”. Nel senso che il patriarcato è fondamentale nel capitalismo e le donne sono una categoria oppressa di cui il capitalismo, per come è strutturato, ha bisogno. Ma non voglio ora inquinare il discorso con altri elementi, seppure interessanti).
Ho però letto frasi che non avrei voluto vedere, rivolte all’assassino. “Dovrebbe marcire in galera”, “dovrebbero impiccarlo”, “cosa importa delle sue motivazioni” e altro. Tutto questo, preciso, anche da parte di persone progressiste o di sinistra, per usare etichette utili solo a snellire il discorso (e precisando che sono molti i modi in cui ciascuno e ciascuna può declinare il proprio essere progressista o di sinistra). Non avrei voluto vederle, quelle frasi, perché non ci dovrebbero appartenere. E, chiaramente, qui mi sto riferendo a chi ritiene ancora importanti certi principi: la pena deve avere funzione rieducativa e non semplicemente punitiva (o, peggio, di vendetta); anche chi si macchia di un crimine orrendo ha diritto a una difesa e conserva i diritti inalienabili dell’individuo; ogni fatto, per quanto orrendo, va analizzato ANCHE nelle motivazioni che hanno sotteso il gesto (ivi comprese le condizioni psicologiche e l’eventuale disagio psichico del colpevole), senza che questo determini “vicinanza” verso il colpevole a discapito della vittima.
Chi mi segue sa già quanto io abbia amato De Andrè, anzi, sarà addirittura stufo di sentirmi ricordarlo tanto spesso. In una delle sue prime canzoni, La ballata del Michè, Faber ricordava con pietà il protagonista, che si era impiccato in cella dove stava scontando vent’anni per avere ucciso “chi voleva rubargli Marì”. Voglio pensare che Fabrizio avrebbe usato la stessa pietà se Michè avesse ammazzato, invece del rivale in amore, la “donna contesa”. No, non avrebbe usato la pelosa “comprensione” de Il Giornale, ma qualcosa di più complesso (e faticoso…). In De Andrè l’essere vicino alle minoranze (o persino il parlare di un assassino) non era frutto della snobistica inclinazione dell’intellettuale. Con la sua “vicinanza” (che certo NON implicava assoluzione) non esprimeva l’affinità di un intellettuale eccentrico, che alla fine non gratifica che se stesso, ma il mantenimento dell’umanità, di fronte a chiunque.
E, almeno credo, la voglia di costruire un mondo migliore passa soprattutto attraverso la conservazione della nostra umanità. Anche quando questo ci costa molto…
Francesco “baro” Barilli
lunedì 16 settembre 2019
mercoledì 19 giugno 2019
“Vincent Van Gogh. La tristezza durerà per sempre”: recensioni e interviste
martedì 26 marzo 2019
“Il delitto Matteotti”: recensioni e interviste
Riassumo di seguito recensioni e interviste apparse su “Il delitto Matteotti”
Intervista di Thomas Bendinelli sull'edizione Bresciana del Corriere della Sera (20 gennaio)
Su BresciaOggi: altro pezzo di Gian Paolo Laffranchi (22 gennaio, dopo la presentazione alla Nuova Libreria Rinascita)
giovedì 14 marzo 2019
La destra ha vinto tutto
Ricapitoliamo.
Montanelli sarebbe un faro del giornalismo e della cultura. Almirante, quasi un padre della patria. Pino Rauti “un intellettuale di grande spessore” (Pierferdinando Casini) che ha lasciato “…un insegnamento, quello del necessario legame tra politica e cultura, tra azione concreta nel presente e ricerca storica, sociale, culturale” (Angelino Alfano).
Tutto questo lasciando stare il “Mussolini ha fatto cose buone”, recentemente rispolverato da Tajani con parziale e successiva retromarcia: affermazione che in realtà, da Berlusconi in poi, è tristemente diffusa.
Ho vissuto anni in cui si parlava della “egemonia culturale della sinistra”. Effettivamente nell’invettiva di Gaber (“Qualcuno era comunista perché il cinema lo esigeva, il teatro lo esigeva, la pittura lo esigeva”) c’era forse del vero. E lasciamo stare che quell’invettiva fosse assai più complessa e addolorata nel descrivere un fenomeno e la sua disillusione: non è il momento, né il punto o mia intenzione, di affrontare lo splendido pezzo di Gaber come meriterebbe.
Il punto, semmai, è che qualcuno dovrà pur avere il coraggio di dirlo: oggi, al contrario, è la destra ad aver vinto. Tutto. E non intende lasciare spazio ad altro. Guai ai vinti, verrebbe da dire.
E il segnale lo fornisce, forse persino al di là delle intenzioni, Calenda quando critica Cirinnà per l’ormai celebre cartello “Dio, Patria, Famiglia. Che vita di merda!”, domandando: “pensi che liquidare tre pilastri dell’essere umano in quel modo sia intelligente?” (Calenda, su twitter).
Guardate, non voglio riaprire la discussione sul cartello di Cirinnà. Con i tempi vorticosi con cui corrono le informazioni, sarebbe una polemica già vecchia. E già altri hanno ben spiegato il condivisibilissimo messaggio che voleva dare la deputata PD. E’ un altro l’aspetto: se “da sinistra” (virgolette d’obbligo, che connotare quello di Calenda come pensiero di sinistra è davvero una forzatura) definisci Dio Patria e Famiglia addirittura “pilastri dell’essere umano” fai un cedimento a destra che nemmeno Gaber (ancora…) avrebbe immaginato nella sua “Destra-Sinistra”.
Sono agnostico, ma conosco persone credenti e per nulla bigotte. Sono anarchico, ma conosco chi crede nella “identità nazionale” senza essere reazionario. E appartengo a una famiglia tradizionale, che amo con tutto il cuore. Ma, per me, “pilastri dell’essere umano”, e della civiltà, sono altro. Lotta alle ingiustizie sociali, diritti per tutti e tutte, accettazione delle libere scelte di vita personali (laddove “tolleranza” è termine zoppicante, che semmai indica un primo passo su questo percorso) e via dicendo…
Dio (ossia credo religioso) Patria (intesa come sentimento di identità nazionale) e famiglia (come nucleo iniziale in cui viviamo e con cui condividiamo esistenza e sentimenti) sono elementi che connotano libere scelte di ogni individuo, nulla più. Storicamente, chi li ha visti come “pilastri” li ha poi declinati con fanatismo e su quei pilastri ha appoggiato solo una serie di atrocità.
Francesco “baro” Barilli
Montanelli sarebbe un faro del giornalismo e della cultura. Almirante, quasi un padre della patria. Pino Rauti “un intellettuale di grande spessore” (Pierferdinando Casini) che ha lasciato “…un insegnamento, quello del necessario legame tra politica e cultura, tra azione concreta nel presente e ricerca storica, sociale, culturale” (Angelino Alfano).
Tutto questo lasciando stare il “Mussolini ha fatto cose buone”, recentemente rispolverato da Tajani con parziale e successiva retromarcia: affermazione che in realtà, da Berlusconi in poi, è tristemente diffusa.
Ho vissuto anni in cui si parlava della “egemonia culturale della sinistra”. Effettivamente nell’invettiva di Gaber (“Qualcuno era comunista perché il cinema lo esigeva, il teatro lo esigeva, la pittura lo esigeva”) c’era forse del vero. E lasciamo stare che quell’invettiva fosse assai più complessa e addolorata nel descrivere un fenomeno e la sua disillusione: non è il momento, né il punto o mia intenzione, di affrontare lo splendido pezzo di Gaber come meriterebbe.
Il punto, semmai, è che qualcuno dovrà pur avere il coraggio di dirlo: oggi, al contrario, è la destra ad aver vinto. Tutto. E non intende lasciare spazio ad altro. Guai ai vinti, verrebbe da dire.
E il segnale lo fornisce, forse persino al di là delle intenzioni, Calenda quando critica Cirinnà per l’ormai celebre cartello “Dio, Patria, Famiglia. Che vita di merda!”, domandando: “pensi che liquidare tre pilastri dell’essere umano in quel modo sia intelligente?” (Calenda, su twitter).
Guardate, non voglio riaprire la discussione sul cartello di Cirinnà. Con i tempi vorticosi con cui corrono le informazioni, sarebbe una polemica già vecchia. E già altri hanno ben spiegato il condivisibilissimo messaggio che voleva dare la deputata PD. E’ un altro l’aspetto: se “da sinistra” (virgolette d’obbligo, che connotare quello di Calenda come pensiero di sinistra è davvero una forzatura) definisci Dio Patria e Famiglia addirittura “pilastri dell’essere umano” fai un cedimento a destra che nemmeno Gaber (ancora…) avrebbe immaginato nella sua “Destra-Sinistra”.
Sono agnostico, ma conosco persone credenti e per nulla bigotte. Sono anarchico, ma conosco chi crede nella “identità nazionale” senza essere reazionario. E appartengo a una famiglia tradizionale, che amo con tutto il cuore. Ma, per me, “pilastri dell’essere umano”, e della civiltà, sono altro. Lotta alle ingiustizie sociali, diritti per tutti e tutte, accettazione delle libere scelte di vita personali (laddove “tolleranza” è termine zoppicante, che semmai indica un primo passo su questo percorso) e via dicendo…
Dio (ossia credo religioso) Patria (intesa come sentimento di identità nazionale) e famiglia (come nucleo iniziale in cui viviamo e con cui condividiamo esistenza e sentimenti) sono elementi che connotano libere scelte di ogni individuo, nulla più. Storicamente, chi li ha visti come “pilastri” li ha poi declinati con fanatismo e su quei pilastri ha appoggiato solo una serie di atrocità.
Francesco “baro” Barilli
sabato 19 gennaio 2019
Gallows Pole, episodio 3: “Il simulatore di compagnia”
Proseguono le avventure (pazze, ma neanche troppo…) di Fabrizio Rinaldi, personaggio creato da me e Duckbill.
Per chi avesse perso gli episodi precedenti (e non volesse incorrere nella terribile ira di Fabrizio): di seguito trovate i links anche agli episodi precedenti.
Episodio 3: “Il simulatore di compagnia”
Episodio 2: “Felini e affini”
Episodio 1: “Il mostro di Codogno”
Per chi avesse perso gli episodi precedenti (e non volesse incorrere nella terribile ira di Fabrizio): di seguito trovate i links anche agli episodi precedenti.
Episodio 3: “Il simulatore di compagnia”
Episodio 2: “Felini e affini”
Episodio 1: “Il mostro di Codogno”
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