Se avete letto i miei "appunti sparsi" del 4 luglio sarete interessati a leggere pure la risposta di Paolo Cucchiarelli, che pubblico di seguito, come promesso.
Per la risposta di Paolo, cliccate qui
Aggiungo poche righe in risposta.
1. Cucchiarelli dice “Intanto il libro sta interessando la magistratura, mi dicono”.
Ne sono contento; che la Magistratura voglia approfondire la faccenda è
anche mia speranza: è quanto intendevo dire quando ho scritto “…se
qualcuno (nella Magistratura, nella politica o fra i testimoni
dell’epoca) volesse riprendere in mano la matassa e dipanarla, farebbe
cosa meritevole e, sono tentato di aggiungere, doverosa”.
2. Ho scritto un lungo appunto sull’arresto di Ventura. Paolo risponde sinteticamente “Il primo arresto non è per la strage ma per associazione sovversiva. Il secondo per la strage”.
La sintesi mi lascia il dubbio di non essermi spiegato bene. Invito
Paolo a rileggere quel mio capitoletto sull’arresto di Ventura. Si
tratta, come ho già detto, di un’osservazione per nulla polemica
(peraltro non tocca i punti nodali del libro), ma solo di una
sottolineatura su un passaggio di pag. 410 (“Sapendo delle
rivelazioni di Lorenzon … Giovanni Ventura attendeva di essere arrestato
per la strage. Lo sarà solo nel marzo del 1972”), che a mio avviso andrebbe articolato meglio in una futura riedizione. Ossia (in una sintesi brutale):
- i primi due arresti di Freda e Ventura sono dell’aprile e dicembre 71
(in mezzo c’è la provvisoria scarcerazione per libertà provvisoria)
- entrambi gli arresti di aprile e dicembre 71 sono per l’associazione
sovversiva ecc. e non per la strage (indipendentemente dal fatto che i
magistrati stiano già "battendo anche quel chiodo")
- nel marzo 72
viene arrestato Rauti e non Ventura (che è già dentro); pure l’arresto
di Rauti, in quel momento, non è per Piazza Fontana.
(tutto questo è valido a meno che non abbia scazzato io nel mettere assieme i pezzi…)
Un saluto a Paolo
Francesco “baro” Barilli
lunedì 6 luglio 2009
sabato 4 luglio 2009
Ancora su “Il segreto di Piazza Fontana”: appunti sparsi
Come promesso, torno per un’ultima volta a parlare de “Il segreto di
Piazza Fontana”. Se dico “per un’ultima volta” non è per tranciare il
confronto con l’autore del libro, Paolo Cucchiarelli (di cui pubblicherò
un’eventuale risposta con piacere, come ho fatto in precedenza), ma
perché credo che il nostro scambio di opinioni si sia fatto via via
sempre più interessante, ma sia destinato a finire in una palude in cui
ognuno non schioda l’altro dalle proprie convinzioni. Questa situazione è
legittima; anzi, dirò di più e credo che Paolo concordi: noi abbiamo
fatto e stiamo facendo la nostra parte; ora sta ad altri fare
altrettanto…
Mi spiego meglio. Lui ha raccolto moltissimi elementi, quasi fossero i tasselli di un puzzle da ricomporre. E’ riuscito persino – bisogna riconoscerglielo – a ritrovarne di smarriti. Quando si è trattato di comporli in un quadro, ha tracciato un disegno che non mi convince (come ho già detto: non per motivi ideologici, ma logici), ma questa è un’altra faccenda. In altre parole, del suo libro condivido in gran parte la fase analitica; rispetto ma non condivido le conclusioni che ne trae. Io pure ho raccolto elementi e fatto delle riflessioni. In parte hanno costituito la critica al suo libro (prima nell’articolo scritto con Saverio Ferrari e poi in altri commenti su questo blog), in parte stanno costruendo, ormai da tempo, il libro che uscirà a dicembre, e in quel momento potremo aprire un nuovo confronto.
Il punto è che io e Cucchiarelli (come Saverio, Giannuli e altri ancora, ognuno con il proprio bagaglio di convinzioni ed errori, tutti mossi da passione civile) abbiamo fatto quel che possiamo, seguendo ognuno le proprie conoscenze e le proprie intuizioni, con tutti i limiti di queste ultime. Non si può chiedere a scrittori, giornalisti, storici o mediattivisti di risolvere la questione. Ma se qualcuno (nella Magistratura, nella politica o fra i testimoni dell’epoca) volesse riprendere in mano la matassa e dipanarla, farebbe cosa meritevole e, sono tentato di aggiungere, doverosa.
Dunque, in questa occasione non mi soffermerò troppo su temi già affrontati, in cui resterebbero irrisolti i punti di contrasto. Affronterò invece il discorso in alcuni capitoletti (davvero degli “appunti sparsi”). Magari si tratta di dettagli collaterali, ma credo siano meritevoli di attenzione. Eccoli di seguito.
Appunto n. 1: Gli “errori pratici” de “Il segreto di Piazza Fontana
In uno dei miei commenti ricordo d’aver promesso che avrei segnalato alcuni errori del testo. PRECISO che si tratta per la maggior parte di cose secondarie. Le segnalo quindi non per fare “la maestrina dalla penna rossa”, e neppure per aprire polemiche su tali dettagli. Al contrario, le segnalo con spirito costruttivo: si tratta di piccolezze che Paolo, se vorrà, potrà facilmente correggere in una futura edizione della sua inchiesta.
Giovanni o Osvaldo?
Pag. 346: il comandante partigiano detto “Visone” era Giovanni (non Osvaldo) Pesce. Penso sia solo un lapsus. Se Paolo invece parla proprio di un Osvaldo Pesce (che non conosco) non si tratta comunque del comandante “Visone” (morto un paio d’anni fa; per chi non lo conoscesse, leggere qui).
L’arresto di Ventura
Pagina 410: riporto testualmente: “Sapendo delle rivelazioni di Lorenzon … Giovanni Ventura attendeva di essere arrestato per la strage. Lo sarà solo nel marzo del 1972”. Se ho capito bene (e se ho controllato altrettanto bene: magari nel libro Paolo riprende in altre parti questo dettaglio e lo spiega meglio – in tale caso mi scuso con lui: mi sono fatto le mie note a margine sul suo volume, ma in 700 pagine qualcosa in questo momento può sfuggirmi) Cucchiarelli fa risalire l’arresto di Ventura per Piazza Fontana (la precisazione è importante, vedremo poi perché) al marzo 72, ossia contestuale all’arresto di Rauti: non è del tutto esatto. Sul punto, c’è molta confusione, anche in testi rispettabilissimi, causati a mio avviso solo dall’aver dovuto incrociare elementi e notizie a distanza dai fatti.
Andiamo con ordine:
- Lucarelli nel suo libro/dvd dice (pag 49) "nel marzo del 72 i magistrati di Treviso fanno arrestare F. Freda, G. Ventura e P. Rauti". Quindi sembra ritenere contestuale l'arresto dei tre.
- Sempre Lucarelli, nella cronologia, dice però una cosa diversa, E' a pagina 80: l'arresto di Freda e Ventura è datato 13 aprile 71, mentre Rauti è in manette il 4 marzo 72.
- Dianese e Bettin nel loro libro (“La strage” – Feltrinelli) nella cronologia e nell'appendice coi nomi (pagine 200 e 204) sembrano più precisi. Su Freda: "Viene arrestato per la prima volta il 12 aprile 71 … Una seconda, nel marzo 72". Ma secondo me sbagliano pure loro (anche qui: è un dettaglio, nell’ambito di un lavoro ben fatto).
- Anche su Internet (Wikipedia) viene data la notizia SIA dell'arresto di Freda e Ventura dell’aprile 71, SIA quello di Freda e Ventura contemporaneo, o di poco successivo, a quello di Rauti del marzo 72. L’arresto contestuale mi sembra sia menzionato anche nel libro di Calvi e Laurent (ma in questo caso sto andando a memoria: non ho il libro sotto mano).
Ho recuperato altre fonti, tra cui un articolo del Corriere della Sera del 5 marzo 72, e sul punto mi sono sentito anche con Saverio Ferrari che ha controllato i suoi documenti. Riporto e sintetizzo l’articolo del Corriere: "Roma, 4 marzo ... hanno disposto di trasferire il giornalista Pino Rauti dal carcere romano … Rauti era stato arrestato IERI in relazione ai fatti che, A SUO TEMPO HANNO CONDOTTO ALL'ARRESTO dell'editore Giovanni Ventura … e … Franco Freda"
La situazione, in estrema sintesi, per come l’ho ricostruita insieme a Saverio, è questa:
- Freda e Ventura vanno in carcere nell'aprile 71 (il mandato di cattura è del 13 aprile)
- escono, per concessione della libertà provvisoria, nel luglio 71
- vanno ancora dentro nel dicembre 71, dopo che il 5 novembre viene trovato il famoso deposito di armi nella soffitta di Castelfranco Veneto (il nuovo mandato d’arresto è del 12 dicembre)
- 3 marzo 72: a Roma finisce in manette Rauti (Freda e Ventura sono ancora dentro, ma “solo” per armi e associazione sovversiva)
- 4 marzo 72: Rauti viene trasferito nel carcere di Treviso.
La domanda è: dopo il 3-4 marzo 72 peggiorano da subito anche le accuse a carico di Freda e Ventura? In realtà parrebbe di no; o meglio: peggiorano “implicitamente”; lo faranno esplicitamente in modo più graduale. E’ chiaro che i magistrati avevano già intuito che la loro indagine li stava portando a P. Fontana, ma in quel momento - almeno a livello di capi d'accusa ufficiali - le "carte" che emettono parlano ancora solo di associazione sovversiva, detenzione armi e di attentati “solo” fino all'agosto 69. Quindi, è sbagliato dire che nel marzo 72 Freda, Ventura e Rauti sono arrestati assieme (come dicono Lucarelli e altri), ed è errato pure parlare dell'arresto del marzo 72 (arresto di Rauti, NON di Ventura) come di un arresto "per Piazza Fontana": che i magistrati avessero capito di essere sulla buona strada anche per Piazza Fontana è pacifico, ma ufficialmente gli atti che emettono sono più prudenti e – giustamente – si limitano a quanto può essere provato fino a quel momento: le bombe di primavera-estate e la generica associazione sovversiva.
Dopo il marzo 72, le indagini su Piazza Fontana passeranno successivamente a Milano (D'Ambrosio - Alessandrini – Fiasconaro). Rauti viene scarcerato il 24 aprile 1972 e verrà prosciolto in fase istruttoria nel processo di Catanzaro. Freda e Ventura sono ufficialmente incriminati per Piazza Fontana nell’agosto 72 e rinviati a giudizio nell’agosto 74. Successivamente, la Cassazione decidi di unificare i filoni (da una parte Valpreda ecc, dall’altra il “filone nero”) in un unico processo e da qui in avanti, come si suol dire, “è storia”.
La colpevolezza di Digilio
Su questo mi sono già soffermato nell’articolo scritto con Saverio Ferrari, e su questo particolare anche Cucchiarelli mi sembra aver riconosciuto l’errore. Si tratta, come già detto, di una faccenda formale, ma non priva di significato: Digilio non va annoverato fra gli assolti della strage; dal punto di vista puramente tecnico, al contrario, è l’unico colpevole accertato processualmente (come già esposto: per aver svolto una perizia tecnica sull’esplosivo), pur avendo ottenuto la prescrizione e pur essendosi visti riconoscere i benefici dovuti alla sua collaborazione.
La tomba di Pinelli e l’antologia di Spoon River
Pag. 621: Cucchiarelli scrive che “sulla tomba di Pino Pinelli c’è proprio una poesia di quell’antologia che, un Natale, il Commissario Calabresi regalò all’anarchico”. In realtà la circostanza è diversa e fu spiegata sia da Licia Pinelli nell’intervista rilasciata a Scaramucci (“Una storia quasi soltanto mia”) sia, se non erro, da Mario Calabresi in “Spingendo la notte più in là”. Calabresi regalò a Pinelli "Mille milioni di uomini" (di Enrico Emanuelli); Pinelli ricambiò con l’Antologia di Spoon River (di Edgar Lee Masters), che era il libro preferito non solo di Pino, ma pure della moglie Licia.
Appunto n. 2: La banca deserta?
Ho già detto, nell’articolo scritto con Saverio Ferrari, che il ragionamento fatto da Cucchiarelli sui timer (da 60 e 120 minuti) è molto interessante. Per precisione di cronaca riporto quel nostro passaggio: “Cucchiarelli fa una lunga dissertazione sui timer (da 60 e 120 minuti) comprati dal gruppo di Freda e Ventura per Piazza Fontana e in generale per l'operazione del 12 dicembre. In particolare si sofferma sull'intercambiabilità e sulla modificabilità dei "dischi orari". Il suo intento è dimostrare che un timer da 120 minuti potesse essere trasformato in uno da 60, ingannando così un potenziale "attentatore in buona fede", il quale si sarebbe convinto di posare un ordigno la cui esplosione era stata programmata due ore dopo l'innesco, mentre in realtà il tempo concesso alla detonazione era dimezzato”.
Ora, però, m’è venuto un altro dubbio. Vorrei evitare di “impelagarmi” nuovamente in opinioni contrastanti sull’identità di chi posa la bomba col timer e pure sul fatto se questa sia “singola” o “raddoppiata”. Riporto quindi – solo per correttezza verso un eventuale lettore che leggesse solo questo articolo senza conoscere nulla dei precedenti – le due teorie in campo. Secondo Cucchiarelli quell’uomo è Valpreda e – sempre a suo avviso – una seconda bomba, stavolta con innesco a miccia, viene deposta accanto alla prima, forzandone l’esplosione prima del tempo. Secondo me l’attentatore è uno solo; in ipotesi potrebbe comunque trattarsi di un elemento di secondo piano nell’organizzazione neofascista, e quindi – sempre in ipotesi – potrebbe comunque essere un uomo convinto che la corsa del timer sia di 120 e non di 60 minuti (ripeto: la cosa è molto più complessa; per approfondimenti, vedere gli articoli, i commenti, le risposte precedenti ecc.). Siccome non voglio riaprire neppure la questione “attentatore doppio/ attentatore singolo”, e nemmeno quella sulla sua identità, preciso che ora mi soffermerò solo sull’uomo che porta la “bomba a timer” chiamandolo Pinco Pallino: per la natura del mio dubbio, che vado di seguito ad esporre, non conta né la sua identità, né la sua matrice ideologica, né il fatto che sia o meno l’unico attentatore.
Ecco il dubbio: la bomba esplode alle 16,37. Calcoliamo i “tempi morti” a ritroso da quel momento. Alle 16,37 l’attentatore ha lasciato la bomba e si è già allontanato; prima si è seduto al tavolo e, per non destare sospetti, probabilmente si è trattenuto lì per qualche minuto, magari fingendo di dover compilare un modulo o di dover leggere delle carte; prima ancora ha fatto un breve tragitto (in parte in taxi e in parte a piedi; oppure solo a piedi: anche questo ora conta poco) per arrivare alla banca; prima ancora ha innescato la bomba (oppure l’ha ritirata dove è stata appena innescata; o ancora l’ha portata nel luogo dove viene innescata e dove, di conseguenza, è partita la corsa del timer).
Ora comprimiamo al massimo queste operazioni: secondo me ci vogliono 20-30 minuti. Quindi il timer comincia a correre fra le 16,07 e le 16,15. Forse un po’ prima; difficilmente dopo. Dunque, Pinco Pallino crede che il destino della bomba sia di esplodere fra le 18,07 e le 18,15, circa. Lui, però, ha visto che la banca è piena zeppa di gente: può anche aver pensato che, di lì a poco, usciranno tutti, ma gli impiegati?! Generalmente il venerdì si fermano oltre l’orario del pubblico: devono chiudere i conti, sistemare le carte e i documenti per il lunedì successivo. Se anche il “nostro” ha pensato che fra le 16,30 e le 17,00 usciranno i clienti, davvero non pensa che alle 18,00 o alle 18,30 non ci sia ancora il personale della banca?
A me sembra difficile che Pinco Pallino sia davvero convinto che l’ordigno SICURAMENTE farà solo danni materiali alle cose (possono avergli mentito, oltre che sull’ora dell’esplosione, anche sulla potenzialità dell’ordigno? Per carità, come ipotesi ci sta pure quella…).
Ripeto (e concludo, sul punto): il mio è solo un semplice dubbio che non riesco a spiegarmi. Mi piacerebbe sapere il parere di Cucchiarelli, su questa faccenda: magari qualcosa mi sfugge.
Appunto n. 3: La morte di Pinelli
Paolo Cucchiarelli ha scritto (se non sbaglio non solo in risposta all’articolo firmato da me e Saverio, ma anche in riferimento ad altri commenti) che ci sarebbe un certo imbarazzo nell’affrontare la sua ricostruzione della morte del ferroviere anarchico. Ovviamente non posso rispondere per altri e lo faccio solo per quanto mi riguarda.
Secondo me, e l’ho accennato nell’articolo con Saverio, dal punto di vista della ricostruzione della dinamica della caduta Cucchiarelli ci ha preso. Dirò di più: se leggete il già citato “Una storia quasi soltanto mia” vedrete che anche Licia Pinelli all’epoca (il libro-intervista è del 1982) ipotizzò fra le altre anche una ricostruzione simile: un alterco degenerato al termine dell’interrogatorio (aggiungo che, come dice Cucchiarelli, “a logica” l’indiziato maggiore per la colluttazione-alterco sembra davvero essere Panessa). Paolo, dal canto suo, ha perfettamente ragione anche nel dire che “l’ipotesi alterco” spiegherebbe anche quella specie di lapsus di D’ambrosio, che nel formulare la versione del malore aggiunse una frase sibillina (quasi “una voce dal sen fuggita”) sul “gesto di difesa nella direzione sbagliata”. Una frase che m’aveva sempre portato molti dubbi, che Cucchiarelli giustamente sintetizza in “ma difesa da cosa?!”: effettivamente è la prima domanda che una persona di buon senso dovrebbe porsi…
Adriano Sofri, ne “La notte che Pinelli”, sottolinea che, in realtà, in quel momento l’interrogatorio non era alla fine ma – al contrario – in una fase cruciale (anche su questo convergiamo pure io e Cucchiarelli). Cruciale per che motivo? Paolo ha la sua teoria: in essa, le due bombe scomparse del 12 dicembre spiegano sia i movimenti di Pinelli di quel pomeriggio, sia la reticenza di Pinelli nello spiegare quegli spostamenti, sia il fatto che in Questura le accuse e i toni nei suoi confronti lievitano fino al drammatico epilogo. Anche in questo caso, la ricostruzione di Paolo l’ho brutalmente sintetizzata: per migliori specifiche rimando agli articoli precedenti, alle risposte di Paolo e soprattutto al suo libro.
Personalmente credo invece che l’alterco che avrebbe originato la caduta sia dovuto a un mix di situazioni: la testimonianza di Rolandi su Valpreda; la certezza, da parte degli inquirenti, di dover stringere i tempi, perché il giorno dopo sanno che Occorsio a Roma formalizzerà il riconoscimento e quindi, da quel momento, si dovrà dire che l’intera “macchina del terrore” (per citare un quotidiano dell’epoca) è stata individuata; lo stress che, dopo lunghe ore e giorni di lavoro, spinge la Questura ad accelerare i tempi e a non “andare troppo per il sottile”, per usare un eufemismo.
Tutti questi motivi, a mio avviso, rendono valida l’ipotesi di un alterco particolarmente acceso, dopo quello che sente Valitutti circa mezz’ora prima, indipendentemente dall’ipotesi che dà Cucchiarelli sulle due bombe scomparse e sul ruolo di Pinelli nella giornata del 12. La reticenza di Pinelli circa il suo alibi potrebbe essere spiegata semplicemente con la volontà di tacere l’incontro con un personaggio ambiguo (nonché compromesso e compromettente) come Sottosanti, ma questa, sia chiaro, è solo una mia ipotesi.
Pure le menzogne di Guida e Allegra possono essere spiegate, come dice Paolo, con l’esigenza di tacere l’indicibile. Ma, a mio avviso, può trattarsi anche solo del risultato imperfetto di una versione (peraltro successivamente disgregata in più versioni) rabberciata alla bell’e meglio nella concitazione del momento. Ricordo una frase di Licia Pinelli, sempre da “Una storia quasi soltanto mia”: "Pino è stato il granellino di sabbia che ha inceppato il meccanismo. Dopo la bomba di Piazza Fontana avevano cominciato la caccia agli anarchici, che erano la parte più debole… la morte di Pino è stata un infortunio sul lavoro, per loro sarebbe stato più comodo metterlo in galera con gravi imputazioni e tenerlo dentro per anni…". In altre parole: una morte scomoda e ingombrante, che costringe i funzionari e i dirigenti della Questura milanese a inventarsi delle pezze che, invece di coprirli, evidenziano i buchi e ne fanno sospettare altri.
Per chi fosse interessato ad altre mie considerazioni sul caso Pinelli rimando a questi due articoli:
Spingendo la verità storica un po’ più in là. Lettera a Mario Calabresi
Recensione: “La notte che Pinelli”, di Adriano Sofri
Appunto n. 4: Patmos e Pasolini
Bene ha fatto Cucchiarelli a ricordare quella poesia nel finale del suo libro. Credo che se chiedessimo ad una qualsiasi persona, mediamente acculturata ed appassionata a Piazza Fontana, di associare il nome di Pasolini alla strage del 12 dicembre tutti risponderebbero citando “Io so”. Articolo bellissimo e giustamente ricordato, ma spiace constatare che pochi sanno che Pasolini scrisse una poesia (forse è più corretto definirla poema) sulla strage. La scrisse di getto, quasi come uno sfogo, immediatamente dopo il fatto e prima che il bilancio si facesse ancora più tragico (e prima ancora della morte di Pinelli), tanto è vero che in Patmos sono menzionate solo 13 vittime (tre se ne aggiunsero nei giorni seguenti e uno – Vittorio Mocchi – morì alcuni anni più tardi, dopo aver lungamente sofferto per le conseguenze delle ferite subite; anche lui fu riconosciuto vittima della strage).
Credo possa far piacere a Paolo conoscere un aneddoto e un’anticipazione. Confesso che pure io non conoscevo Patmos, fino a quando non ne sentii recitare alcuni passi da Francesca Dendena, figlia di una delle vittime, il 12 dicembre 2007, in occasione di un’iniziativa in commemorazione della strage a cui ero invitato pure io. La forza espressiva dei versi di Pasolini, unita al valore simbolico del sentirli recitati proprio da Franca, mi colpì profondamente. Quando, alcuni mesi dopo, un editore mi propose di scrivere un racconto a fumetti su Piazza Fontana, accanto a molti dubbi ho avuto, fin dall’inizio, una sola sicurezza: nel fumetto avrei inserito alcuni passaggi da Patmos; in particolare il brano iniziale, quello finale e tutti i riferimenti alla vittime… E così ho rivelato una prima anticipazione del libro, svelando pure che si tratta di un racconto a fumetti, che come ho detto in passato non sarà una controinchiesta, ma una sorta di omaggio che fonde la ricerca storica con un livello più “lirico” ed evocativo.
A questi appunti sparsi mancano ancora alcuni dettagli, ma mi sono “rimasti nella tastiera” per questioni di tempo. Magari ci tornerò più avanti, per ora è tutto.
Francesco “baro” Barilli
Mi spiego meglio. Lui ha raccolto moltissimi elementi, quasi fossero i tasselli di un puzzle da ricomporre. E’ riuscito persino – bisogna riconoscerglielo – a ritrovarne di smarriti. Quando si è trattato di comporli in un quadro, ha tracciato un disegno che non mi convince (come ho già detto: non per motivi ideologici, ma logici), ma questa è un’altra faccenda. In altre parole, del suo libro condivido in gran parte la fase analitica; rispetto ma non condivido le conclusioni che ne trae. Io pure ho raccolto elementi e fatto delle riflessioni. In parte hanno costituito la critica al suo libro (prima nell’articolo scritto con Saverio Ferrari e poi in altri commenti su questo blog), in parte stanno costruendo, ormai da tempo, il libro che uscirà a dicembre, e in quel momento potremo aprire un nuovo confronto.
Il punto è che io e Cucchiarelli (come Saverio, Giannuli e altri ancora, ognuno con il proprio bagaglio di convinzioni ed errori, tutti mossi da passione civile) abbiamo fatto quel che possiamo, seguendo ognuno le proprie conoscenze e le proprie intuizioni, con tutti i limiti di queste ultime. Non si può chiedere a scrittori, giornalisti, storici o mediattivisti di risolvere la questione. Ma se qualcuno (nella Magistratura, nella politica o fra i testimoni dell’epoca) volesse riprendere in mano la matassa e dipanarla, farebbe cosa meritevole e, sono tentato di aggiungere, doverosa.
Dunque, in questa occasione non mi soffermerò troppo su temi già affrontati, in cui resterebbero irrisolti i punti di contrasto. Affronterò invece il discorso in alcuni capitoletti (davvero degli “appunti sparsi”). Magari si tratta di dettagli collaterali, ma credo siano meritevoli di attenzione. Eccoli di seguito.
Appunto n. 1: Gli “errori pratici” de “Il segreto di Piazza Fontana
In uno dei miei commenti ricordo d’aver promesso che avrei segnalato alcuni errori del testo. PRECISO che si tratta per la maggior parte di cose secondarie. Le segnalo quindi non per fare “la maestrina dalla penna rossa”, e neppure per aprire polemiche su tali dettagli. Al contrario, le segnalo con spirito costruttivo: si tratta di piccolezze che Paolo, se vorrà, potrà facilmente correggere in una futura edizione della sua inchiesta.
Giovanni o Osvaldo?
Pag. 346: il comandante partigiano detto “Visone” era Giovanni (non Osvaldo) Pesce. Penso sia solo un lapsus. Se Paolo invece parla proprio di un Osvaldo Pesce (che non conosco) non si tratta comunque del comandante “Visone” (morto un paio d’anni fa; per chi non lo conoscesse, leggere qui).
L’arresto di Ventura
Pagina 410: riporto testualmente: “Sapendo delle rivelazioni di Lorenzon … Giovanni Ventura attendeva di essere arrestato per la strage. Lo sarà solo nel marzo del 1972”. Se ho capito bene (e se ho controllato altrettanto bene: magari nel libro Paolo riprende in altre parti questo dettaglio e lo spiega meglio – in tale caso mi scuso con lui: mi sono fatto le mie note a margine sul suo volume, ma in 700 pagine qualcosa in questo momento può sfuggirmi) Cucchiarelli fa risalire l’arresto di Ventura per Piazza Fontana (la precisazione è importante, vedremo poi perché) al marzo 72, ossia contestuale all’arresto di Rauti: non è del tutto esatto. Sul punto, c’è molta confusione, anche in testi rispettabilissimi, causati a mio avviso solo dall’aver dovuto incrociare elementi e notizie a distanza dai fatti.
Andiamo con ordine:
- Lucarelli nel suo libro/dvd dice (pag 49) "nel marzo del 72 i magistrati di Treviso fanno arrestare F. Freda, G. Ventura e P. Rauti". Quindi sembra ritenere contestuale l'arresto dei tre.
- Sempre Lucarelli, nella cronologia, dice però una cosa diversa, E' a pagina 80: l'arresto di Freda e Ventura è datato 13 aprile 71, mentre Rauti è in manette il 4 marzo 72.
- Dianese e Bettin nel loro libro (“La strage” – Feltrinelli) nella cronologia e nell'appendice coi nomi (pagine 200 e 204) sembrano più precisi. Su Freda: "Viene arrestato per la prima volta il 12 aprile 71 … Una seconda, nel marzo 72". Ma secondo me sbagliano pure loro (anche qui: è un dettaglio, nell’ambito di un lavoro ben fatto).
- Anche su Internet (Wikipedia) viene data la notizia SIA dell'arresto di Freda e Ventura dell’aprile 71, SIA quello di Freda e Ventura contemporaneo, o di poco successivo, a quello di Rauti del marzo 72. L’arresto contestuale mi sembra sia menzionato anche nel libro di Calvi e Laurent (ma in questo caso sto andando a memoria: non ho il libro sotto mano).
Ho recuperato altre fonti, tra cui un articolo del Corriere della Sera del 5 marzo 72, e sul punto mi sono sentito anche con Saverio Ferrari che ha controllato i suoi documenti. Riporto e sintetizzo l’articolo del Corriere: "Roma, 4 marzo ... hanno disposto di trasferire il giornalista Pino Rauti dal carcere romano … Rauti era stato arrestato IERI in relazione ai fatti che, A SUO TEMPO HANNO CONDOTTO ALL'ARRESTO dell'editore Giovanni Ventura … e … Franco Freda"
La situazione, in estrema sintesi, per come l’ho ricostruita insieme a Saverio, è questa:
- Freda e Ventura vanno in carcere nell'aprile 71 (il mandato di cattura è del 13 aprile)
- escono, per concessione della libertà provvisoria, nel luglio 71
- vanno ancora dentro nel dicembre 71, dopo che il 5 novembre viene trovato il famoso deposito di armi nella soffitta di Castelfranco Veneto (il nuovo mandato d’arresto è del 12 dicembre)
- 3 marzo 72: a Roma finisce in manette Rauti (Freda e Ventura sono ancora dentro, ma “solo” per armi e associazione sovversiva)
- 4 marzo 72: Rauti viene trasferito nel carcere di Treviso.
La domanda è: dopo il 3-4 marzo 72 peggiorano da subito anche le accuse a carico di Freda e Ventura? In realtà parrebbe di no; o meglio: peggiorano “implicitamente”; lo faranno esplicitamente in modo più graduale. E’ chiaro che i magistrati avevano già intuito che la loro indagine li stava portando a P. Fontana, ma in quel momento - almeno a livello di capi d'accusa ufficiali - le "carte" che emettono parlano ancora solo di associazione sovversiva, detenzione armi e di attentati “solo” fino all'agosto 69. Quindi, è sbagliato dire che nel marzo 72 Freda, Ventura e Rauti sono arrestati assieme (come dicono Lucarelli e altri), ed è errato pure parlare dell'arresto del marzo 72 (arresto di Rauti, NON di Ventura) come di un arresto "per Piazza Fontana": che i magistrati avessero capito di essere sulla buona strada anche per Piazza Fontana è pacifico, ma ufficialmente gli atti che emettono sono più prudenti e – giustamente – si limitano a quanto può essere provato fino a quel momento: le bombe di primavera-estate e la generica associazione sovversiva.
Dopo il marzo 72, le indagini su Piazza Fontana passeranno successivamente a Milano (D'Ambrosio - Alessandrini – Fiasconaro). Rauti viene scarcerato il 24 aprile 1972 e verrà prosciolto in fase istruttoria nel processo di Catanzaro. Freda e Ventura sono ufficialmente incriminati per Piazza Fontana nell’agosto 72 e rinviati a giudizio nell’agosto 74. Successivamente, la Cassazione decidi di unificare i filoni (da una parte Valpreda ecc, dall’altra il “filone nero”) in un unico processo e da qui in avanti, come si suol dire, “è storia”.
La colpevolezza di Digilio
Su questo mi sono già soffermato nell’articolo scritto con Saverio Ferrari, e su questo particolare anche Cucchiarelli mi sembra aver riconosciuto l’errore. Si tratta, come già detto, di una faccenda formale, ma non priva di significato: Digilio non va annoverato fra gli assolti della strage; dal punto di vista puramente tecnico, al contrario, è l’unico colpevole accertato processualmente (come già esposto: per aver svolto una perizia tecnica sull’esplosivo), pur avendo ottenuto la prescrizione e pur essendosi visti riconoscere i benefici dovuti alla sua collaborazione.
La tomba di Pinelli e l’antologia di Spoon River
Pag. 621: Cucchiarelli scrive che “sulla tomba di Pino Pinelli c’è proprio una poesia di quell’antologia che, un Natale, il Commissario Calabresi regalò all’anarchico”. In realtà la circostanza è diversa e fu spiegata sia da Licia Pinelli nell’intervista rilasciata a Scaramucci (“Una storia quasi soltanto mia”) sia, se non erro, da Mario Calabresi in “Spingendo la notte più in là”. Calabresi regalò a Pinelli "Mille milioni di uomini" (di Enrico Emanuelli); Pinelli ricambiò con l’Antologia di Spoon River (di Edgar Lee Masters), che era il libro preferito non solo di Pino, ma pure della moglie Licia.
Appunto n. 2: La banca deserta?
Ho già detto, nell’articolo scritto con Saverio Ferrari, che il ragionamento fatto da Cucchiarelli sui timer (da 60 e 120 minuti) è molto interessante. Per precisione di cronaca riporto quel nostro passaggio: “Cucchiarelli fa una lunga dissertazione sui timer (da 60 e 120 minuti) comprati dal gruppo di Freda e Ventura per Piazza Fontana e in generale per l'operazione del 12 dicembre. In particolare si sofferma sull'intercambiabilità e sulla modificabilità dei "dischi orari". Il suo intento è dimostrare che un timer da 120 minuti potesse essere trasformato in uno da 60, ingannando così un potenziale "attentatore in buona fede", il quale si sarebbe convinto di posare un ordigno la cui esplosione era stata programmata due ore dopo l'innesco, mentre in realtà il tempo concesso alla detonazione era dimezzato”.
Ora, però, m’è venuto un altro dubbio. Vorrei evitare di “impelagarmi” nuovamente in opinioni contrastanti sull’identità di chi posa la bomba col timer e pure sul fatto se questa sia “singola” o “raddoppiata”. Riporto quindi – solo per correttezza verso un eventuale lettore che leggesse solo questo articolo senza conoscere nulla dei precedenti – le due teorie in campo. Secondo Cucchiarelli quell’uomo è Valpreda e – sempre a suo avviso – una seconda bomba, stavolta con innesco a miccia, viene deposta accanto alla prima, forzandone l’esplosione prima del tempo. Secondo me l’attentatore è uno solo; in ipotesi potrebbe comunque trattarsi di un elemento di secondo piano nell’organizzazione neofascista, e quindi – sempre in ipotesi – potrebbe comunque essere un uomo convinto che la corsa del timer sia di 120 e non di 60 minuti (ripeto: la cosa è molto più complessa; per approfondimenti, vedere gli articoli, i commenti, le risposte precedenti ecc.). Siccome non voglio riaprire neppure la questione “attentatore doppio/ attentatore singolo”, e nemmeno quella sulla sua identità, preciso che ora mi soffermerò solo sull’uomo che porta la “bomba a timer” chiamandolo Pinco Pallino: per la natura del mio dubbio, che vado di seguito ad esporre, non conta né la sua identità, né la sua matrice ideologica, né il fatto che sia o meno l’unico attentatore.
Ecco il dubbio: la bomba esplode alle 16,37. Calcoliamo i “tempi morti” a ritroso da quel momento. Alle 16,37 l’attentatore ha lasciato la bomba e si è già allontanato; prima si è seduto al tavolo e, per non destare sospetti, probabilmente si è trattenuto lì per qualche minuto, magari fingendo di dover compilare un modulo o di dover leggere delle carte; prima ancora ha fatto un breve tragitto (in parte in taxi e in parte a piedi; oppure solo a piedi: anche questo ora conta poco) per arrivare alla banca; prima ancora ha innescato la bomba (oppure l’ha ritirata dove è stata appena innescata; o ancora l’ha portata nel luogo dove viene innescata e dove, di conseguenza, è partita la corsa del timer).
Ora comprimiamo al massimo queste operazioni: secondo me ci vogliono 20-30 minuti. Quindi il timer comincia a correre fra le 16,07 e le 16,15. Forse un po’ prima; difficilmente dopo. Dunque, Pinco Pallino crede che il destino della bomba sia di esplodere fra le 18,07 e le 18,15, circa. Lui, però, ha visto che la banca è piena zeppa di gente: può anche aver pensato che, di lì a poco, usciranno tutti, ma gli impiegati?! Generalmente il venerdì si fermano oltre l’orario del pubblico: devono chiudere i conti, sistemare le carte e i documenti per il lunedì successivo. Se anche il “nostro” ha pensato che fra le 16,30 e le 17,00 usciranno i clienti, davvero non pensa che alle 18,00 o alle 18,30 non ci sia ancora il personale della banca?
A me sembra difficile che Pinco Pallino sia davvero convinto che l’ordigno SICURAMENTE farà solo danni materiali alle cose (possono avergli mentito, oltre che sull’ora dell’esplosione, anche sulla potenzialità dell’ordigno? Per carità, come ipotesi ci sta pure quella…).
Ripeto (e concludo, sul punto): il mio è solo un semplice dubbio che non riesco a spiegarmi. Mi piacerebbe sapere il parere di Cucchiarelli, su questa faccenda: magari qualcosa mi sfugge.
Appunto n. 3: La morte di Pinelli
Paolo Cucchiarelli ha scritto (se non sbaglio non solo in risposta all’articolo firmato da me e Saverio, ma anche in riferimento ad altri commenti) che ci sarebbe un certo imbarazzo nell’affrontare la sua ricostruzione della morte del ferroviere anarchico. Ovviamente non posso rispondere per altri e lo faccio solo per quanto mi riguarda.
Secondo me, e l’ho accennato nell’articolo con Saverio, dal punto di vista della ricostruzione della dinamica della caduta Cucchiarelli ci ha preso. Dirò di più: se leggete il già citato “Una storia quasi soltanto mia” vedrete che anche Licia Pinelli all’epoca (il libro-intervista è del 1982) ipotizzò fra le altre anche una ricostruzione simile: un alterco degenerato al termine dell’interrogatorio (aggiungo che, come dice Cucchiarelli, “a logica” l’indiziato maggiore per la colluttazione-alterco sembra davvero essere Panessa). Paolo, dal canto suo, ha perfettamente ragione anche nel dire che “l’ipotesi alterco” spiegherebbe anche quella specie di lapsus di D’ambrosio, che nel formulare la versione del malore aggiunse una frase sibillina (quasi “una voce dal sen fuggita”) sul “gesto di difesa nella direzione sbagliata”. Una frase che m’aveva sempre portato molti dubbi, che Cucchiarelli giustamente sintetizza in “ma difesa da cosa?!”: effettivamente è la prima domanda che una persona di buon senso dovrebbe porsi…
Adriano Sofri, ne “La notte che Pinelli”, sottolinea che, in realtà, in quel momento l’interrogatorio non era alla fine ma – al contrario – in una fase cruciale (anche su questo convergiamo pure io e Cucchiarelli). Cruciale per che motivo? Paolo ha la sua teoria: in essa, le due bombe scomparse del 12 dicembre spiegano sia i movimenti di Pinelli di quel pomeriggio, sia la reticenza di Pinelli nello spiegare quegli spostamenti, sia il fatto che in Questura le accuse e i toni nei suoi confronti lievitano fino al drammatico epilogo. Anche in questo caso, la ricostruzione di Paolo l’ho brutalmente sintetizzata: per migliori specifiche rimando agli articoli precedenti, alle risposte di Paolo e soprattutto al suo libro.
Personalmente credo invece che l’alterco che avrebbe originato la caduta sia dovuto a un mix di situazioni: la testimonianza di Rolandi su Valpreda; la certezza, da parte degli inquirenti, di dover stringere i tempi, perché il giorno dopo sanno che Occorsio a Roma formalizzerà il riconoscimento e quindi, da quel momento, si dovrà dire che l’intera “macchina del terrore” (per citare un quotidiano dell’epoca) è stata individuata; lo stress che, dopo lunghe ore e giorni di lavoro, spinge la Questura ad accelerare i tempi e a non “andare troppo per il sottile”, per usare un eufemismo.
Tutti questi motivi, a mio avviso, rendono valida l’ipotesi di un alterco particolarmente acceso, dopo quello che sente Valitutti circa mezz’ora prima, indipendentemente dall’ipotesi che dà Cucchiarelli sulle due bombe scomparse e sul ruolo di Pinelli nella giornata del 12. La reticenza di Pinelli circa il suo alibi potrebbe essere spiegata semplicemente con la volontà di tacere l’incontro con un personaggio ambiguo (nonché compromesso e compromettente) come Sottosanti, ma questa, sia chiaro, è solo una mia ipotesi.
Pure le menzogne di Guida e Allegra possono essere spiegate, come dice Paolo, con l’esigenza di tacere l’indicibile. Ma, a mio avviso, può trattarsi anche solo del risultato imperfetto di una versione (peraltro successivamente disgregata in più versioni) rabberciata alla bell’e meglio nella concitazione del momento. Ricordo una frase di Licia Pinelli, sempre da “Una storia quasi soltanto mia”: "Pino è stato il granellino di sabbia che ha inceppato il meccanismo. Dopo la bomba di Piazza Fontana avevano cominciato la caccia agli anarchici, che erano la parte più debole… la morte di Pino è stata un infortunio sul lavoro, per loro sarebbe stato più comodo metterlo in galera con gravi imputazioni e tenerlo dentro per anni…". In altre parole: una morte scomoda e ingombrante, che costringe i funzionari e i dirigenti della Questura milanese a inventarsi delle pezze che, invece di coprirli, evidenziano i buchi e ne fanno sospettare altri.
Per chi fosse interessato ad altre mie considerazioni sul caso Pinelli rimando a questi due articoli:
Spingendo la verità storica un po’ più in là. Lettera a Mario Calabresi
Recensione: “La notte che Pinelli”, di Adriano Sofri
Appunto n. 4: Patmos e Pasolini
Bene ha fatto Cucchiarelli a ricordare quella poesia nel finale del suo libro. Credo che se chiedessimo ad una qualsiasi persona, mediamente acculturata ed appassionata a Piazza Fontana, di associare il nome di Pasolini alla strage del 12 dicembre tutti risponderebbero citando “Io so”. Articolo bellissimo e giustamente ricordato, ma spiace constatare che pochi sanno che Pasolini scrisse una poesia (forse è più corretto definirla poema) sulla strage. La scrisse di getto, quasi come uno sfogo, immediatamente dopo il fatto e prima che il bilancio si facesse ancora più tragico (e prima ancora della morte di Pinelli), tanto è vero che in Patmos sono menzionate solo 13 vittime (tre se ne aggiunsero nei giorni seguenti e uno – Vittorio Mocchi – morì alcuni anni più tardi, dopo aver lungamente sofferto per le conseguenze delle ferite subite; anche lui fu riconosciuto vittima della strage).
Credo possa far piacere a Paolo conoscere un aneddoto e un’anticipazione. Confesso che pure io non conoscevo Patmos, fino a quando non ne sentii recitare alcuni passi da Francesca Dendena, figlia di una delle vittime, il 12 dicembre 2007, in occasione di un’iniziativa in commemorazione della strage a cui ero invitato pure io. La forza espressiva dei versi di Pasolini, unita al valore simbolico del sentirli recitati proprio da Franca, mi colpì profondamente. Quando, alcuni mesi dopo, un editore mi propose di scrivere un racconto a fumetti su Piazza Fontana, accanto a molti dubbi ho avuto, fin dall’inizio, una sola sicurezza: nel fumetto avrei inserito alcuni passaggi da Patmos; in particolare il brano iniziale, quello finale e tutti i riferimenti alla vittime… E così ho rivelato una prima anticipazione del libro, svelando pure che si tratta di un racconto a fumetti, che come ho detto in passato non sarà una controinchiesta, ma una sorta di omaggio che fonde la ricerca storica con un livello più “lirico” ed evocativo.
A questi appunti sparsi mancano ancora alcuni dettagli, ma mi sono “rimasti nella tastiera” per questioni di tempo. Magari ci tornerò più avanti, per ora è tutto.
Francesco “baro” Barilli
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