Caro Aldo,
ho letto il tuo articolo, “Vogliamo liberarci di Berlusconi? Smettiamo di odiarlo!”.
Condivido pienamente le tue considerazioni sulle colpe della sinistra e
pure sulla natura tutt’altro che invincibile del Cavaliere come
“macchina elettorale” (i dati che hai puntualmente riportato lo
dimostrano). Qualche riflessione in più sarebbe forse da fare sulla
mutazione di Berlusconi nel suo proporsi agli italiani. Trovo che l’uomo
relativamente suadente del 94 si sia trasformato via via col passare
del tempo. Il sorridente e rassicurante imbonitore è oggi aggressivo,
arcigno, assume tratti davvero Mussoliniani nel muoversi, nell’arringare
la folla, nella rozzezza del linguaggio. L’imbonitore si è trasformato
in un grande condottiero, ma più che ad Alessandro il Grande assomiglia a
Don Chisciotte (senza ispirare la stessa simpatia, e in ogni caso devo
ancora decidere a chi eventualmente attribuire, nel contesto, il ruolo
di Ronzinante e quello di Sancho Panza). Pure il codazzo di yesmen di
cui si è sempre attorniato sembra essersi fatto più adorante e – al
tempo stesso – timoroso. Viene il dubbio che se un tempo Berlusconi
recitasse la parte del superuomo, oggi sia effettivamente convinto di
esserlo.
Tutto questo meriterebbe ben altro approfondimento. Per
oggi, accontentati di una “strana” riflessione, a cui mi ha spinto
proprio il tuo pezzo.
In questi anni ho scritto molto, ma raramente
mi sono occupato di Berlusconi. Non mi ero mai fermato a chiedermi il
motivo di questa scelta (a dire il vero non avevo mai pensato fosse “una
scelta” – non a livello conscio, almeno – né, quindi potesse essere
sostenuta da una motivazione) e il tuo pezzo ha portato a galla, con la
domanda, una serie di risposte possibili. Disinteresse verso
l’argomento? Snobismo intellettuale? Una sorta di inaspettata maturità
che mi ha portato ad anticipare la tua conclusione (consigliandomi un
approccio più razionale e meno viscerale verso il berlusconismo)?
Sinceramente non so rispondere. Forse un mix delle tre risposte, o nulla
di tutto questo.
Condivido la tua considerazione circa la
particolare sgradevolezza umana del personaggio e gli effetti che questa
specie di “sfeeling” (passami il neologismo) può avere su qualsivoglia
analisi del fenomeno Berlusconi. Ma proprio qui, ancora una volta
inconsapevolmente, forse trovo la chiave di lettura del “mio”
antiberlusconismo: fatico a scrivere “fenomeno Berlusconi”, perché in
questo modo credo si attribuisca all’uomo e al suo pensiero una statura
che in fondo non possiede.
Mi spiego meglio. Molti vedono nel
Cavaliere di Arcore la causa di tutti, o molti, mali italiani.
Personalmente credo sia più opportuno indicarlo come l’effetto di quei
mali, enfatizzati ed elevati alla massima potenza. Il viveur di Villa
Certosa, in altre parole, è un ottimo rappresentante dell’italianità per
come questa si è sviluppata dalla Liberazione ad oggi, e forse andrebbe
indagato più come modello antropologico che non sul piano sociale e
politico.
In fondo per capire cosa sia oggi l’italianità basta
pensare a giorni recenti, in cui si celebrano i funerali di Stato per
Mike Bongiorno proprio poco dopo che le Istituzioni hanno dimostrato di
aver ignorato la scomparsa di Teresa Strada. Sia chiaro: di Bongiorno
poco m’importa, alla sua scomparsa partecipo con la pietà che ci insegna
l'aforisma di John Donne. Il punto è che, per quanto possa apparire
paradossale e riduttivo, se c'è una cosa che può mostrare le condizioni
in cui s'è ridotto questo Paese è proprio un confronto fra le reazioni
"istituzionali" ai due decessi, pressochè contemporanei.
Possiamo
smettere di odiare Berlusconi, ma un po’ di sano disprezzo per cosa è
diventato l’italiano medio io lo manterrei. Ma forse qui riaffiora quel
tratto nichilista del mio carattere (credevo d’averlo seppellito assieme
alla mia gioventù) probabilmente spinto in superficie da un bicchiere
di troppo di Vermentino di Sardegna…
Con amicizia
Francesco “baro” Barilli
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