Okay, lo dico io prima che lo dicano altri: sì, Claudio Calia è un amico, BeccoGiallo è anche il mio editore. Quindi qualcuno potrebbe pensare “questi se la cantano e se la suonano fra loro” o valutare questa recensione come una marchetta. Beh, non potrei dire nulla che facesse cambiare idea a chi così pensasse. Quindi, costoro possono pure fermarsi subito: meglio per loro e per me.
Per gli altri, procediamo dunque con questa recensione (mi cospargo il capo di cenere: a più di un anno dall’uscita) del “Piccolo atlante storico geografico dei Centri sociali italiani”.
Il nesso tra fumetto e centri sociali...
Spiegare questo nesso NON è l’obbiettivo principale del libro di Claudio. Ma, conoscendo lui e la sua passione per il fumetto a 360 gradi, credo non gli sia sfuggito che il suo lavoro è (anche) la chiusura di un cerchio. Perché i c.s. nascono in anni in cui il fumetto era assente dalle librerie di varia e le fumetterie erano assai rare. E proprio i c.s., accanto all’attività politico/sociale, hanno proposto molti fumetti alternativi (albi autoprodotti, fanzines ecc.) e contemporaneamente sono stati veicolo di diffusione di fumettisti “fuori dal coro”.
Non è un caso se la prefazione del Piccolo Atlante di Calia è firmata da Zerocalcare, artista formatosi proprio in questi ambienti (una formazione che Michele ha sempre ricordato con affetto; ma sulla sua prefazione mi soffermerò più avanti).
I centri sociali sono stati dunque i primi laboratori dove venivano prodotti e/o promossi fumetti che in edicola – ossia nel solo luogo in cui in quella fase storica i fumetti li si poteva trovare – non avevano spazio. Si potrebbe dire che sono stati un laboratorio, per un certo fumetto, così come successivamente lo sono stati per la street art: questo a dimostrazione del fermento culturale che qui si respira, con buona pace di chi li vuol vedere come una fucina di vandali interessati solo a sfasciare vetrine…
E’ quindi significativo che sia un fumetto l’opera in cui più organicamente si può trovare una mappa, ragionata e “partecipata”, di queste realtà.
La prefazione di Zerocalcare
Ho già detto che scegliere Zerocalcare come firma della prefazione non è un caso. Perché è nei centri sociali che affondano le radici di Michele, artisticamente e umanamente. Perché c’è un rapporto di stima e amicizia preesistente fra lui e Calia. E perché i due fumettisti condividono radici di impegno sociale ed esperienze. Entrambi (Claudio e Michele) erano a Genova nel luglio 2001, senza ancora conoscersi: Claudio a vivere il movimento della propria generazione, Michele – più giovane – ad affacciarsi per una delle prime volte su una “piazza politica”. Entrambi videro coi propri occhi, e subirono sulla propria pelle, la repressione poliziesca e vissero direttamente quello che è stato forse il più importante trauma generazionale della nostra storia recente, uno di quei fatti che seziona la nostra vita in “prima” e “dopo” (come può immaginare chi mi legge da un po’, questa è una cosa che mi fa sentire vicino a entrambi).
Con il solito personalissimo stile – capace di unire toni leggeri a tematiche “importanti”, e di cogliere sempre il nocciolo della questione in poche righe e con grande chiarezza – Zerocalcare spiega il senso del lavoro di Calia: “Ci trovo il calore di chi non mi ha mai abbandonato o lasciato indietro. Ci trovo una parola strana, contraddittoria, che uso raramente, quasi mai nell’accezione comune. Famiglia”.
Per questo la prefazione di Michele è un valore aggiunto al Piccolo Atlante. Un valore che va al di là della meritata fama di Michele, concretizzandosi nel saper trasmettere al lettore il senso di appartenenza a una comunità.
Lo stile
Farò una confessione: non comprai subito il libro di Claudio. Sapevo che prima o poi l’avrei letto, ma non avevo fretta. “Sicuramente conosco già tutto, o quasi, ciò che contiene”, mi dicevo (sbagliando). “Dovrebbero leggerlo quelli che sparano a zero sui centri sociali dipingendoli come covi di casinisti, quando va bene”, mi dicevo (e qui avevo pure ragione, ma questo è un altro discorso…).
Insomma, lo pensavo solo un utile elenco ragionato dei centri sociali. Utile ad altri, certo, ma a me a cosa serviva?
Alla fine, seppure con ritardo, ho divorato con interesse il fumetto di Claudio. E ci ho trovato dentro la sua storia, la nostra storia. Esperienze, canzoni, slogan, speranze, lotte, rabbie, tentativi e inciampi, ancora tentativi e altri inciampi… Esperienze collettive che potrebbero definirsi “forme di resistenza”.
E la narrazione di Claudio è calda e per nulla didascalica. Come in libri precedenti, Claudio si disegna nel proprio fumetto. Ma se in altri lavori la sua era la presenza del “giornalista grafico” che rielabora testimonianze (voci raccolte direttamente o materiali reperiti sui media), nel Piccolo Atlante Claudio attraversa l’Italia e gli anni della propria militanza politica. All’interno, invecchia e “si invecchia”, cambiano i suoi vestiti e la sua barba, perché è qui che lui è cresciuto, come uomo e come autore.
(nota: disattiviamo la modalità “vecchi reduci che si incontrano commentando i propri lavori e dissertando su quanti capelli cadono o si imbiancano” e torniamo allo stile)
Lo stile, dicevo…
Claudio non è uno che cerca di incantarti con i propri disegni. Ma le sue tavole sono sempre dannatamente espressive… C’è del sentimento, dentro, ecco, non saprei come dirlo meglio… E’ capace di mescolare la sintesi del “giornalismo grafico” col proprio sguardo, pacato e mai privo di partecipazione.
Sì, vabbè, ma torniamo al nesso tra fumetto e centri sociali...
Il punto è che i fumetti li leggi per passare il tempo (alcuni), perché ti fanno sognare (altri, più belli), o perché “ti fanno sentire/ti rendono migliore” (i più belli). Proprio come le persone che frequenti, gli amici a cui vuoi più bene… Proprio come la tua “famiglia”, in senso più ampio, come ci ricorda il Piccolo Atlante di Calia e come intuisce e suggerisce Zerocalcare.
Ora il nesso l’avete capito, no?
Francesco “baro” Barilli
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