Mercoledì sera ero a Milano, allo Spazio Teatro 89, per una serata in
memoria della strage di Piazza Fontana. Devo fare un elenco di alcune
persone che erano con me; non per soddisfare la voglia di protagonismo
di qualcuno ma, al contrario, per evidenziare qualche assenza. C’erano
Daniele Biacchessi (giornalista e scrittore: a lui si deve il progetto
“suoni della memoria”, in cui si inseriva l’iniziativa), gli avvocati
Sinicato e Mariani (legali storici dei processi su Piazza Fontana),
Walter Bielli (membro della commissione stragi), Francesca Dendena
(figlia di Pietro, morto nella strage), e altri ancora: Saverio Ferrari,
Lydia Franceschi, il giudice Salvini, mi scuso con quelli che
dimentico. Presenze qualificate e interessanti, per una serata che
grazie a loro non è stata semplice commemorazione ma “memoria”. Però
dov’era il Comune di Milano? Dov’erano le Istituzioni?
Ho una brutta
sensazione, che fatico a scacciare, come si dovrebbe fare coi cattivi
pensieri: che per le autorità le stragi si liquidano con un minuto di
silenzio, o con una corona di fiori posta alle 16,33 di ogni 12
dicembre. Del resto, proprio al teatro alla Scala di Milano, se la sono
cavata così anche recentemente, per gli operai assassinati
all’acciaieria di Torino. Vestiti di gala, gioielli tirati fuori per
l’occasione, abiti da sera scosciati, qualche décolleté un po’ azzardato
o ottimista… Uomini e donne con la divisa del grande appuntamento: un
minuto di raccoglimento, e poi via, 5 ore di Wagner. Poco m’importa di
loro; mi preoccupa di più lo stato della memoria di questo paese, che mi
sembra maggiormente garantita da chi era con noi l'altra sera, i
vestiti decisamente meno appariscenti, il silenzio raccolto di chi
ricorda uno dei tanti, troppi giorni in cui l’Italia si è sentita ferita
e perduta.
Il giudice Salvini ci ha portato una notizia positiva,
ufficialmente comunicata proprio mercoledì a Cremona. Da anni, assieme
alla richiesta di verità e giustizia, i familiari delle vittime di molte
stragi italiane si sono fatti carico di una pressante esigenza circa la
sorte degli atti dei processi. Migliaia di pagine che rischiano di
deteriorarsi e di finire al macero, o comunque di diventare inservibili.
Questo appello, sostenuto anche da qualche bravo giornalista e dal
ministero della Giustizia, è arrivato all’attenzione di Pierpaolo
Beluzzi, magistrato di Cremona interessato alla questione e competente
in materia informatica. La digitalizzazione degli atti è partita con lo
spezzone che fu di competenza del dottor Salvini, ed è stata realizzata
in pochi mesi da una cooperativa interna al carcere, da 4 detenuti, e
questo mi sembra un valore aggiunto per un’iniziativa già di per sé
lodevole. Da gennaio il progetto si farà più ambizioso, e col supporto
di altre realtà si digitalizzeranno gli atti di Catanzaro, sempre su
Piazza Fontana, ma l’obbiettivo è creare una banca dati complessiva sui
processi delle stragi italiane, in futuro disponibile via internet
secondo modalità e tempi ancora da definire.
Scrivo queste righe
mentre il treno mi scuote, sto tornando a casa. Penso a Licia Pinelli,
che diceva “avere giustizia è che tutti sappiano la verità”. E penso a
mio figlio, che ieri mi chiedeva “di cosa parlerai stasera? Di Piazza
Fontana? Cos’è, un giorno la studierò?”.
Forse sì, figlio mio. O
forse sul tuo libro di storia troverai un buco, come quello che una
borsa in pelle lasciò sotto il tavolo in mogano del salone, nella banca
nazionale dell’agricoltura. Ma ci sarò io a spiegarti, e se l’iniziativa
cui accennavo andrà in porto potrai conoscere, sapere… Forse, se almeno
tu sarai consapevole, non si potrà dire che hanno vinto “i cattivi”,
che hanno vinto loro.
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