Il 10 ottobre il tribunale di Ferrara ha ascoltato gli esperti nominati
dal collegio difensivo dei quattro poliziotti imputati di omicidio
colposo per la morte di Federico Aldrovandi. I consulenti della difesa
sono arrivati a conclusioni opposte rispetto a quelle pronunciate dai
periti di parte civile. La “fame d’aria” che ha portato alla morte il
giovane Aldro sarebbe da addebitare al mix di ketamina e morfina, mentre
la colluttazione coi poliziotti e la posizione cui è stata costretta la
vittima (prona e schiacciata a terra) sarebbero irrilevanti come cause o
concause del decesso. La mattina del 25 settembre 2005 il ragazzo
sarebbe morto in ogni caso, in via Ippodromo o dopo essere giunto a
casa, indipendentemente dall’incontro con i quattro agenti sotto
processo. In sostanza le perizie non confutano la violenza del controllo
di polizia cui è stato sottoposto Federico (un vero pestaggio, stando
alla testimonianza della testimone Anne Marie Tsegueu, già a suo tempo
resa davanti al GIP), ma ne valutano l’ininfluenza ai fini del decesso.
Gli imputati hanno il diritto di mentire. Se anche così non
stabilissero i principi del diritto (nemo tenetur se detegere, ossia a
nessuno può essere chiesto di autoincriminarsi o comunque di confermare
una propria responsabilità penale) basterebbe il buon senso a capirlo.
Un imputato può decidere se deporre o meno, e in caso positivo la sua
deposizione non è preceduta dal giuramento. Una simile possibilità
ovviamente non è concessa, né dal buon senso né dalla legge, ai
testimoni o a chi è chiamato ad altro titolo a collaborare al processo.
Questo forse rende particolarmente crudele la ricostruzione fatta al
tribunale di Ferrara lo scorso 10 ottobre. Chi scrive non ha competenze
tecniche o scientifiche per confutare specialisti sicuramente
qualificati come quelli nominati dal collegio difensivo. Le loro teorie
saranno sicuramente suffragate da elementi “di scienza”, da riscontri
presenti in letteratura. E per smontarle non basta sottolineare quanto
quelle teorie siano distanti, diametralmente opposte, a quelle di altri
consulenti ascoltati sul caso.
Sicuramente il proliferare di
informazioni sui fatti di sangue che colpiscono l’opinione pubblica ha
reso più importante il ruolo che rivestono i periti, nella soluzione dei
casi giudiziari. Sembra quasi che oggigiorno la scrittura della
Giustizia sia ormai affidata alla fredda scienza. Ma laddove non arriva
la competenza può però arrivare il ragionamento. A tale scopo si ricorda
che le deposizioni a suo tempo rese in aula dagli imputati hanno
descritto Federico come una forza scatenata della natura, capace di
spezzare i manganelli con un calcio, un ciclone che ha travolto i
quattro agenti minacciandone l’incolumità, fino ad essere “contenuto”.
Una ricostruzione che, abbinata a quella dei consulenti della difesa,
porterebbe ad un’ipotesi quasi fumettistica: un ragazzo di 18 anni, dopo
aver assunto una specie di siero della forza, si sarebbe trasformato in
una sorta di “incredibile Hulk”, per poi morire per le conseguenze
negative della stessa pozione. Difficile a questo punto immaginare lo
sdegno e la rabbia che devono aver provato i genitori di Federico
Aldrovandi nell’ascoltare la ricostruzione fatta da chi ha sostenuto
l’ineluttabilità della morte del loro figlio, quella mattina.
La
prossima udienza è fissata per l’11 novembre. In calendario, gli ultimi
consulenti nominati dal collegio difensivo. Poi, il 24 novembre, saranno
i periti del tribunale a dirimere i contrasti fra le perizie di parte.
Francesco “baro” Barilli
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