Della morte di Stefano Cucchi si è già detto molto. Sinceramente non
saprei cos’altro aggiungere, se non che spero che stavolta gli esiti
dell’inchiesta siano diversi da quelli consueti.
C’è però un
particolare che mi ha colpito, nelle foto pubblicate. Non sto parlando
di quelle del corpo martoriato e senza vita di Stefano, ma di quelle
segnaletiche scattate all'ufficio matricole del Regina Coeli. Ce n’è una
in particolare che ha qualcosa di struggente, quella che ne ritrae il
profilo sinistro. Se non ci fossero quei lividi, se non sapessimo
trattarsi di una foto segnaletica, se non conoscessimo già il tragico
epilogo, Stefano non sembrerebbe in carcere, ma in libertà, affacciato a
una finestra da dove guarda il mondo con uno sguardo triste e spaesato.
E’ un’immagine che mi ha dato da pensare. Per qualche meccanismo
inconscio che non riesco ad indagare appieno, mi ha fatto venire in
mente una definizione che di solito si usa quando si commenta la morte
di militari italiani nelle cosiddette “missioni di pace”: “i nostri
ragazzi”, si dice in quei casi.
Ho pensato che quella definizione la
si potrebbe utilizzare tranquillamente anche per Stefano come per Aldo
Bianzino, Federico Aldrovandi, Marcello Lonzi. Anche questi sono “i
nostri ragazzi”. Fragili, impauriti. Forse imperfetti, come è normale
siano, forse gravati da un fardello di errori. Come tutti, senza che su
quei difetti debba speculare un Giovanardi di turno (già in passato
distintosi sul caso Aldrovandi) e senza che i loro eventuali errori
possano giustificare – in nessuna misura – le atrocità che gli sono
state riservate.
Se ascoltiamo le storie di Stefano, Aldo, Federico,
Marcello, scopriamo storie normali (solo, troppo brevi…) con la normale
dose di tristezze e sorrisi. Come le loro foto passate (recuperate dopo
che li abbiamo già visti stesi sull’asfalto o sul lettino di un tavolo
autoptico) ci ricordano. Non sono eroi, ma davvero sono “i nostri
ragazzi”. A cui un paese stupido e feroce, ormai dimentico di valori
quali comprensione o solidarietà e ormai vinto da ossessioni ed
“emergenze”, ha mostrato il proprio volto peggiore.
Francesco “baro” Barilli
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