Alcune osservazioni sui fatti di Rosarno. Cercherò di essere il più
possibile pragmatico. Con una premessa: per essere pragmatici bisogna
chiamare le cose con il loro nome, senza inutili giri di parole.
1. Seguendo la premessa, in Italia forse non c’è (ancora) razzismo;
sicuramente c’è xenofobia. Fra i due termini esiste differenza, anche se
spesso vengono accostati come fossero sinonimi. Ricordiamoci però che
la seconda è valida anticamera per il primo.
2. Se in Italia non
c’è (ancora) razzismo, sicuramente c’è (purtroppo già ben radicata) la
schiavitù. Che sia una schiavitù “light” poco conta: sono solo i segni
del tempo (mica vi aspetterete di vedere le navi partire per l’Africa a
catturare schiavi? Non dobbiamo neanche sforzarci: partono e si caricano
da sole). Non solo esiste, ma è pure tranquillamente accettata, dalle
istituzioni così come dalla “società civile”.
3. Quando gli
schiavi si ribellano non lo fanno come fossero membri della Camera dei
Lords. Si possono avere giudizi diversi su queste modalità di
ribellione; si possono o meno attribuire gradi differenti di
comprensione o attenuanti; ma non si può negare che queste ribellioni
costituiscono l’unico elemento in grado di portare la schiavitù
all’attenzione dell’opinione pubblica, sottraendola dal sommerso di ciò
che non si vuole vedere.
4. Maroni dice che la situazione di
Rosarno è figlia dell’eccessiva tolleranza verso l’immigrazione
clandestina. Si possono fare molti commenti su questa affermazione (i
miei ve li lascio immaginare), ma tutti devono partire da una semplice
constatazione: dal 2001 l’Italia è governata stabilmente (fatto salvo un
anno e pochi spiccioli del secondo governo Prodi) dal centrodestra.
5. In questi giorni si è parlato molto dello stipendio giornaliero dei
migranti di Rosarno, occupati nella raccolta di agrumi: fra 20 e 25 euro
al giorno, probabilmente ulteriormente impoveriti da una decurtazione
per il “caporalato”. Forse sarebbe il caso di ricordare che c’è un nesso
fra quanto viene pagato un lavoratore per raccogliere clementine e
quanto paghiamo noi un kg di clementine.
6. La vera domanda
quindi è: quanto siamo disposti a pagare un kg di clementine? La
domanda, tanto banale da sfiorare la cretineria, diventa meno banale se
per “costo” intendiamo anche “costo sociale”… Ma, tutto sommato, va bene
anche se vi interrogate sul costo in euro del kg di mandarini che avete
appena acquistato.
7. La politica è morta. Ciò che chiamiamo
politica è il puzzo che si leva dal suo corpo in decomposizione. E’ il
mercato che determina le dinamiche sociali e la soglia di accettabilità
che intendiamo attribuire agli eventi. Nel caso Rosarno, ad esempio,
quanto siamo disposti a pagare un kg di clementine ci dice se riteniamo o
meno la schiavitù una “normale” evoluzione della società. In base alla
nostra risposta possiamo capire se dal cadavere della politica possono
emergere nuove forme di “arte di governare la società”, o se dobbiamo
rassegnarci a vivere secondo quanto ci indica il dio-mercato.
Francesco “baro” Barilli
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