Ci sono pezzi su cui ragiono un sacco. Scrivo a biro su un quadernone (sono all’antica, lo so: mai scritto nulla direttamente al PC, devo sentire sotto lo spessore della carta – possibilmente “tanta” – e avere una biro dal tratto morbido in mano); correggo ancora a biro e riscrivo “in bella”; poi passo alla videoscrittura; stampo, correggo ancora… e così via, l’avrete capito, fino al definitivo.
Altri pezzi no. Sono rari, questi ultimi. E il commento (recensione è parola troppo pomposa e inadatta) al nuovo libro del mio amico Marco Sommariva (“Lottavo Romanzo”, Sicilia punto L edizioni, 2013) ne è un esempio. Perché è uno di quei libri che ti fa vibrare il cuore, ed è bene scriverne mentre lo senti ancora vibrare. Pensare che, riflettendoci sopra, avresti potuto scrivere di più e meglio non ha senso e non è importante: devi farlo subito e basta.
Non conosco di persona Marco. Ci siamo scritti, abbiamo collaborato ad alcune iniziative editoriali “militanti”, ma la sua faccia mi è sconosciuta. E questo lavoro non sarà autobiografico, nel senso letterale e rigoroso, ma mi sa che poco ci manca, vista l’età della voce narrante e i luoghi di ambientazione (sui 50 e Genova e dintorni). Quindi mi sa che ora lo conosco sul serio.
(una parentesi – l’ho detto: oggi scrivo di getto e in modo disordinato. Anche alcune fra le cose più minimaliste – e solo in apparenza meno importanti – mi fanno amare questo romanzo. Una fra tutte, l’amore per i fumetti del protagonista bambino, dagli eroi Marvel a quelli “sporcaccioni” trovati dal barbiere. Se sia un segno di “comunanza generazionale” o di “comune sentire” – o entrambi – non lo so. Ma volevo dirglielo. Ah, lui comunque scrive di non averci più trovato – nei fumetti, dico – “la magia”; io da adulto mi sono trovato a scriverne. Scherzi del destino… Poi ci sono l’insana attrazione per Sabina Ciuffini, il desiderio infantile di fare da grande un lavoro “strano” – per me: “l’ingegnere con la pistola”, e non chiedetemi di più, vi prego… - e gli Inti Illimani che io vidi a Cremona, avrò avuto 8/10 anni… Ora basta, chiusa parentesi)
Lottavo Romanzo è un libro di ricordi, di nostalgia sofferta ma dolce, di rabbia per il presente. Bello persino nel senso di incompiuto che lascia alla fine (perché, sì, il romanzo non segue l’andamento classico; non ha un intreccio in cui una trama si dipana fino al proprio climax e si scioglie in un finale), perché quel senso d’incompiuto, in fondo (e per me), è anche il senso (“un senso”) del racconto stesso di una vita. Della vita del protagonista (Marco?) che ha ancora molte cose da dire, da dare, da scrivere… e per cui soffrire (“soffro” è il verbo che più spesso ricorre nel libro. Ma, almeno mi sembra, è segno di una sofferenza non sconfitta ma bensì inquieta e vitale, di una fiammella che tiene vivi oggi gli entusiasmi di ieri).
E’ un libro duro, quello di Marco. Anni ’70, tensioni sociali, la droga, la miseria, la lotta armata… Un testo libertario e antifascista. E scritto dannatamente bene.
Anzi, diciamola tutta. Io scrivo bene, lo so. Mai avuto dubbi su questo. E m’incazzo quando qualcuno scrive meglio di me. E Marco stavolta l’ha fatto (“in fondo, ci siamo sempre preoccupati di estetica”, scrive il malandrino…).
Un libro dunque che dovrebbe piacere a tutti quelli che seguono questo blog: vi conosco… Aggiungerò solo che il volume è impreziosito da altri due amici: una prefazione di Haidi Giuliani e un’appendice di Alessio Lega.
Come? Non ho detto abbastanza di “cosa c’è dentro”? Ma tante cose, dicevo. Minimalismo esistenziale, formazione di un bimbo divenuto giovane uomo e poi adulto, grandi passioni, lotte e delusioni e speranze di più generazioni, ribellione al sistema…
Fatevi un piacere e leggetelo. Ma non ditemi poi che scrive meglio di me. Perché poi ci soffro io…
Francesco “baro” Barilli
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