Di quanto stimo Gipi ho parlato poche volte, e ho solo accennato a quanto m’è piaciuto il suo ultimo libro, “unastoria” (vedi qui e qui). Provo a parlarne ancora a seguito del dibattito nato dopo la sua candidatura al Premio Strega.
Un dibattito valido, ben argomentato da entrambe le parti. In coda al mio intervento trovate i links più interessanti, pressochè tutti caratterizzati da un’alta considerazione dell’ultimo lavoro di Gianni e più in generale della sua produzione artistica (segnalo in particolare l’articolo di Matteo Stefanelli).
Si possono trovare elementi condivisibili in entrambi i lati delle “barricate”, pro e contro la candidatura allo Strega del fumetto di Gipi. Da un lato la questione viene posta a livello di pertinenza, come correttamente sintetizza Stefanelli: non si tratta di stabilire se il fumetto sia “più alto o più basso” della letteratura (o di altro mezzo espressivo artistico, aggiungo - e mi sono già trovato in passato a difendere la dignità del mezzo-fumetto), ma più semplicemente di essere consapevoli che il fumetto ha peculiarità artistiche “altre” – né superiori né inferiori, appunto – rispetto a letteratura, teatro, cinema e via di seguito. Dall’altro lato, si sottolinea che un riconoscimento così autorevole può fare bene all'ambiente nostrano della nona arte (e alla sua percezione diffusa) e che accostare “unastoria” a un romanzo non è certo azzardato.
Come accennavo, è difficile dire che solo una delle due opinioni sia valida. E per dirla tutta non credo neppure sia così importante: ancora una volta mi trovo d’accordo con l’analisi più articolata fra quelle formulate, quella già citata di Stefanelli.
Mi permetto dunque di aggiungere solo alcuni elementi di riflessione.
1. A memoria ricordo alcuni casi in cui il fumetto era già entrato nel “salotto buono della cultura”. Il premio Pulitzer a Spiegelman per Maus, i riconoscimenti giornalistici a Sacco, la menzione di Watchmen fra i 100 migliori romanzi in lingua inglese nella lista di Time, tanto per citarne tre. Non ho trovato però, tra i molti articoli spulciati sul dibattito “Gipi-Strega”, menzioni su quale sia la prassi in altri paesi. In Francia (per fare l’esempio di un Paese assai più avanti del nostro a livello di considerazione riservata al fumetto) come si comportano? Sarebbe possibile che un racconto a fumetti entrasse fra i candidati di un premio letterario? La domanda, preciso, non ha intenti polemici, è una “domanda pura” (non ne conosco cioè la risposta) che ha una sua relazione coi punti seguenti.
2. Chi mi conosce sa che nei miei interventi cito spesso De Andrè: per me, un maestro di vita prima che un grande artista. Scusatemi, sarà mania o deformazione mentale, ma ne parlo pure oggi. Perché la discussione nata (Strega o non Strega? Un fumetto può essere considerato romanzo?) m’ha fatto venire in mente quanto si è detto sovente dell’opera di De Andrè: canzone o poesia?
Il cantautore genovese spesso liquidava la questione con una battuta/citazione (“Benedetto Croce diceva che fino all'età dei diciotto anni tutti scrivono poesie. Dai diciotto anni in poi rimangono a scriverle due categorie di persone: i poeti e i cretini. E quindi io precauzionalmente preferirei considerarmi un cantautore”). Se però si ha la pazienza di ripercorrere quanto da lui raccontato a proposito del proprio lavoro (consiglio: De Andrè talk, a cura di Claudio Sassi e Walter Pistarini, Coniglio Editore) noteremo che De Andrè era consapevole della complessità compositiva della sua opera. Che si basava su un mix straordinario di capacità poetica, conoscenza della tecnica musicale (per nulla statica: fu costante la sua ricerca di nuove sonorità, la sua alternanza di arrangiamenti semplici con altri più elaborati e ”raffinati”), consapevolezza delle sue doti vocali (una voce di non grande estensione ma calda ed evocativa, come lui stesso la definiva, che sapeva far cadere o “scivolare” a seconda dell’intensità che intendeva imprimere in un dato momento a ogni canzone). Insomma, è vero che molte sue canzoni possono essere tranquillamente lette come poesie, ma per lui la musica non era semplice ornamento del testo. Versi e musica si fondevano nelle sue creazioni bilanciandosi e valorizzandosi gli uni con l’altra, creando qualcosa che non era poesia e non pretendeva di essere nulla di “più alto” o “più basso” della poesia, ma semplicemente il SUO modo di esprimersi, di fare vibrare delle coscienze. Esattamente come fanno i testi e i disegni di Gipi…
3. Ho già scritto in altre occasioni che non sono tanto preoccupato dalla scarsa considerazione riservata al fumetto in Italia, quanto dalla scarsa considerazione riservata in generale alla cultura, qui da noi. Se fosse migliore la seconda, anche la prima ne gioverebbe.
4. Se la più importante manifestazione fumettistica italiana assomiglia sempre di più a una sagra di paese, va da sé che i premi fumettistici nostrani risentiranno dell’effetto citato dai creatori di Don Zauker (“cazzatelle per ragazzini o per adulti rincoglioniti”). Forse, più che discutere di Gipi allo Strega, si dovrebbe ragionare su come conferire importanza culturale ai riconoscimenti che già esistono nel campo fumettistico, cercando di mutarne una percezione che, quella sì, al fumetto non fa certo bene…
Francesco “baro” Barilli
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