Ho conosciuto Giulio Laurenti a Genova. Non era un caso: eravamo lì a luglio di qualche anno fa – il 2011 se non erro – e insieme ad altri scrittori abbiamo parlato proprio delle maledette giornate del 2001. Ed è significativo che proprio a Genova o “a causa di” Genova io abbia incrociato la mia strada con quella di molti altri. Persone segnate, in diversa forma e misura, dal ricordo di quei giorni: uno spartiacque nell’esistenza individuale, in quella collettiva, nella storia dei diritti di questo Paese, che da allora sono scivolati verso un baratro di cui non si vede la fine…
Ho poi ritrovato Giulio tramite Facebook: strano frullatore di pensieri e notizie, che però consente di tenere aperta una finestra sul mondo e di restare in contatto con amici geograficamente lontani.
Sapevo dunque della sua intenzione di pubblicare un romanzo (“La madre dell’uovo”, Effigie Edizioni) che incrocia le storie di Carlo Giuliani, ucciso il 20 luglio 2001, e di Ilaria Alpi, giornalista assassinata in Somalia il 20 marzo 1994 assieme all’operatore Miran Hrovatin. E non mi hanno sorpreso le vicissitudini editoriali e umane che Giulio ha dovuto affrontare per pubblicare il suo lavoro (potete leggerne qui).
In questo romanzo (sulla definizione romanzo, forse impropriamente usata, tornerò più avanti) si incontrano dunque due storie apparentemente distanti, per contesto geografico e temporale, ma che hanno molti punti in comune. A cominciare da alcuni protagonisti.
Perché a Piazza Alimonda transitano uomini delle forze dell’ordine arrivati a Genova sette anni dopo essersi “distinti” nella missione Restore Hope in Somalia, le cui carriere sono passate indenni dalle ombre di Mogadiscio e in seguito non hanno risentito neppure di quelle genovesi . E poi un fotografo, malmenato e intimidito sul corpo di Carlo, che sceglie di non parlare. Sullo sfondo, i diari del maresciallo Aloi sulla missione Somala, contenenti accuse ad alcuni suoi commilitoni: violenze sulle donne locali e torture ai prigionieri. Sul caso Alpi non mi dilungo: potete leggere qui un mio vecchio articolo, contenente un’intervista a Giorgio e Luciana Alpi e mie riflessioni che, seppure ormai “datate”, affrontano pure il “memoriale Aloi”.
I nomi che ci porta Giulio non sono nuovi: chi ha seguito le numerose inchieste apparse on line sull’omicidio di Piazza Alimonda (a cominciare da quella di Pillola Rossa) già li conosce. Sappiamo chi erano i due ufficiali a cui erano affidate le due jeep che seguirono la carica laterale ai manifestanti che portò all’uccisione di Carlo (da una di queste vetture furono esplosi i colpi di pistola, di cui uno mortale). Sappiamo l’identità del reporter che scattò le prime fotografie a Carlo morente (brutalmente picchiato pochi istanti dopo dai carabinieri che gli distrussero le macchine fotografiche: così “sparirono” le immagini da lui riprese): probabile testimone della pietrata inferta sulla fronte del ragazzo quando era già a terra (anche questo è un argomento già affrontato e su cui io stesso mi soffermai, assieme a Manuel De Carli, nel nostro “Carlo Giuliani, il ribelle di Genova”). Nel suo lavoro, Giulio racconta anche la propria storia: quella di uno scrittore che, citando liberamente Pasolini, “cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace, di rimettere insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un quadro, ristabilendo la logica dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia e il mistero”. Sarebbe dunque riduttivo affermare che “La madre dell’uovo” abbia il solo merito di avere approfondito questi elementi, includendoli per la prima volta in una cornice unica: questo lo si poteva fare anche solo cercando di riordinare le varie “controinchieste” apparse in questi anni. Giulio è andato oltre, raccontandoci non solo le menzogne delle narrazioni ufficiali su Piazza Alimonda e Mogadiscio, ma pure la fatica di chi a quelle menzogne non ha voluto arrendersi. Fatiche anche “private”, perché scrivere di argomenti così delicati produce un carico di stress emotivo (soprattutto per i rischi a cui si va incontro) che può produrre tensioni familiari: l’autore ce le racconta senza cadere in autoreferenzialità o voglia di protagonismo, ma con molto tatto.
“Romanzo”, dicevo. E il libro di Giulio può effettivamente essere letto come un noir: lo stile dell’autore accompagna adeguatamente un lettore che volesse semplicemente cimentarsi con un thriller. Ma, come accennavo prima, “La madre dell’uovo” è – anche – una controinchiesta affascinante e – soprattutto – una denuncia contro quegli abusi del potere che renderebbero accostabili gli omicidi di Ilaria e Miran con quello di Carlo pure senza la coincidente presenza di alcuni protagonisti.
Per certi versi il libro di Giulio è accostabile a “I segni sulla pelle” (2003, Tropea Editore) di Stefano Tassinari, autore scomparso nel 2012 e che già altre volte ho ricordato con affetto e rimpianto. Anche qui Stefano provò a coniugare le esigenze della controinchiesta con quelle della narrativa, cercando di dare una versione logica a un’ipotesi (agghiacciante e mai del tutto esplorata) sul 20 luglio 2001: quella secondo cui Carlo Giuliani non sarebbe stata l’unica vittima del G8 genovese…
Chi ha seguito le cronache del 20 luglio 2001 ricorderà come le notizie inizialmente si susseguissero senza controllo e contraddittoriamente, fra un manifestante ferito, due feriti in condizioni disperate, un morto spagnolo e un altro in gravi condizioni, una ragazza ridotta in fin di vita poco prima della tragedia in Piazza Alimonda… In seguito le notizie si fecero più nitide, arrivando in serata a definire l’identità della vittima, mentre sulla fantomatica ragazza scese il silenzio. Potete leggere a questo link un mio vecchio articolo, corredato da due interviste, una con Stefano e una con Haidi Giuliani, in cui si affrontano questi temi.
Ma tra i lavori di Stefano e Giulio ci sono molte differenze. Stefano scrisse un lavoro di pura narrativa, restituendoci innanzitutto il sapore della paura respirata nelle strade genovesi nel 2001. Giulio sceglie di raccontare se stesso e la propria ricerca, regalandoci invece il senso cupo degli “intrighi” di un potere che, per autotutelarsi, è disposto a tutto.
E per questo “La madre dell’uovo” è un libro estremamente attuale. Non ci parla solo di Carlo e di Ilaria, né degli intrighi dell’Italia “di ieri”. Parla di un Paese in cui la violenza, sotto diverse forme, si è “fatta sistema”, nell’indifferenza dei più. E in cui il silenzio non è solo la condizione a cui sono costretti i morti, ma bensì elemento fondante del sistema di potere stesso. Condanna per taluni, scelta consapevole per altri, vile rifugio per chi ha visto e sceglie di tacere.
Un libro che regala notti inquiete e insonni, quello di Giulio. Ma, soprattutto, un libro prezioso…
Francesco “baro” Barilli
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