sabato 4 settembre 2021

"E non fummo più ragazzi”. La Prefazione di Lorenzo Guadagnucci



Da qualche parte l’ho già detto, ma è ora di farlo pure qui. Ho scritto un romanzo, “E non fummo più ragazzi”, pubblicato da Red Star Press. Qualche informazione potete leggerla a questo link.

Voglio ringraziare Lucio Villani per il titolo, tratto da un verso contenuto nel suo “20 anni dopo. Una ballata del G8” (2021, anche questo uscito per Red Star Press):

L’avventura di cui parlo,

qual per molti fu da pazzi,

ci scavò come un tarlo

e non fummo più ragazzi.


La prefazione è firmata da Lorenzo Guadagnucci. Lorenzo, per chi non lo sapesse, è giornalista ed era presente alla scuola Diaz la notte fra il 21 e il 22 luglio 2001, dove ha subito sulla propria pelle la violenta “perquisizione” delle forze dell’ordine che ha drammaticamente concluso le giornate del G8 genovese. Membro del Comitato Verità e Giustizia per Genova, fra i suoi libri ricordo “Noi della Diaz” (2008, Terre di mezzo editore/Altreconomia) e soprattutto “L’eclisse della democrazia” (2021, Feltrinelli) scritto con Vittorio Agnoletto


Anche a Lorenzo va un enorme grazie!!! Ecco il suo testo, che apre il romanzo.


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Greta Thunberg è nata in Svezia nel 2003 e chissà che i suoi genitori, lei cantante d’opera lui attore, non abbiano vissuto insieme la stagione dei movimenti, prima ancora che la primogenita nascesse. Il 2001 è stato un anno fatale. L’anno di Porto Alegre e di Genova, eventi che hanno lasciato un segno nella storia e anche un grande rimpianto per ciò che poteva essere e non è stato permesso che fosse. Il 2001 è l’anno degli abusi di polizia, l’anno dei manganelli e dei lacrimogeni, l’anno degli agenti che sparano in piazza e a volte uccidono.  Violenze che non risparmiarono nemmeno la Svezia dei Thunberg. A Göteborg il 15 giugno un ragazzo di 19 anni, Hannes Westberg, colpito all’addome da un proiettile sparato da un agente durante le contestazioni a un vertice fra Unione europea e Stati uniti, restò per giorni fra la vita e la morte. Se la cavò. Non fu lui, ma Carlo Giuliani a Genova il 20 luglio dello stesso anno, la prima vittima della scelta compiuta dalle democrazie europee di criminalizzare il “movimento dei movimenti”, nato nelle lotte globali per la giustizia sociale, i beni comuni, la sopravvivenza del pianeta. Sono passati vent’anni e il mondo è ingiusto quanto prima, ma più insano, più soffocante, più caldo, infine atterrito dalla pandemia da coronavirus. Greta, nel frattempo, è diventata un’icona mondiale del diritto delle prossime generazioni a una vita libera e sana, il volto mediatico di una generazione che ha capito di avere un futuro ben più ristretto di quello percepito in gioventù dai propri genitori e nonni. 

Stiamo attraversando, in questi mesi di segregazione, di angoscia e di morte, un nuovo spartiacque. Da una parte il “business as usal”, magari abbellito da una pennellata di verde e qualche aggettivo grazioso (sostenibile, circolare, ecologico); dall’altra parte un sogno, un progetto, un impegno: un mondo diverso, cioè un’altra economia, una società equa e fraterna, e nuove parole chiave, per esempio cura, dignità, diritti, solidarietà.

Un giorno, magari nel 2051, il 2020 e il 2021 saranno ricordati come gli anni della (prima?) pandemia, del confinamento, del virus che si fa messaggero di verità per conto di un pianeta esausto, troppo sfruttato, troppo inquinato per sopportare ancora gli abusi cui è sottoposto. Ricorderemo il 2020 e il 2021 e penseremo subito al 2001, l’anno di Cassandra, l’anno di un altro bivio, più o meno lo stesso che abbiamo di fronte oggi, ma con altre forze in campo e un’energia di lotta e di consapevolezza di questi tempi sconosciuta (o forse non ancora emersa con la dovuta forza).

Il 2001 è l’anno del G8 a Genova, del movimento dei movimenti che mostra tutta la sua capacità di aggregazione e la straordinaria forza dei suoi argomenti; l’anno in cui il futuro fu cancellato con la violenza dall’orizzonte di migliaia anzi milioni di persone, condannando tutti all’insipienza e alla prepotenza di un sistema di potere retto da un’ideologia distruttiva, qual è il neoliberismo. Le calde e tragiche giornate del luglio genovese di vent’anni fa sono un pezzo di storia politica del nostro paese (e non solo). E c’è di più: hanno segnato la vita di una moltitudine di persone.  

Le violenze delle forze di polizia, così plateali e così indiscriminate, scioccarono tutti: chi c’era e si trovava costretto a impensabili - spesso impossibili - fughe da manganelli e lacrimogeni, e anche chi non c’era e da casa seguiva i fatti, magari parlando al cellulare con un amico, un parente, un conoscente, oppure via  radio o magari in tv, in quei giorni generosa di collegamenti in diretta, condotti da cronisti a loro volta scioccati e stralunati. 

Chi si era trovato a Genova il 20 e 21 luglio, nei cortei brutalizzati dalle forze dell’ordine (e dovremmo chiederci: di quale ordine?), rientrò a casa con un’idea profondamente cambiata sul proprio paese, le sue istituzioni, la sua democrazia. Per tutti è stato impossibile tornare “come prima”. Impossibile, perché la sensazione che si prova a sentirsi in balìa di un potere incontrollabile e sfrenato, è indimenticabile. E tanto più lo è se i facinorosi, i violenti, i sadici indossano divise e agiscono in nome della collettività, pagati dallo stato. 

Se Genova G8 ha scioccato tanto è perché in quell’occasione il potere ha colpito i “nuovi” contestatori, per mandare un messaggio a tutti i cittadini, ai tanti, tantissimi che simpatizzavano per quel movimento e per le sue ragioni, rintracciandovi ideali positivi e una lettura convincente della realtà; a tutti loro il potere diceva: fermi lì, non alimentate ulteriormente questa vena di protesta sociale, non mescolatevi a questo grumo di violenza. I manganelli di Genova hanno bastonato l’idealismo, le buone intenzioni, la voglia di cambiare di milioni di persone in Italia e nel mondo; hanno mortificato il senso civico di cittadini che si mettevano in ascolto di voci nuove, trovandovi sintonie insperate. 

Nei mesi che precedettero il G8 c'era un clima di entusiasmo, di curiosità, di apertura che oggi tocca rimpiangere; l’Italia, l’Europa, una fetta grande di mondo erano percorse da un fremito di mobilitazione, da una connessione di intelligenze, di saperi, di esperienze che attraversava le lingue e le culture e proponeva una nuova via da seguire, un percorso assai diverso da quello indicato dai poteri stabiliti, dal sistema ufficiale della comunicazione. Il trauma è stato grande per tutti. La comune percezione del mondo si è trasformata: concetti come democrazia, libertà, diritti, hanno perduto, agli occhi di milioni di persone, il significato cogente che dovrebbero avere. Il potere ha mostrato il suo volto maligno. 

Nonostante tutto questo, o forse proprio per tutto questo, il vocabolo “Genova” evoca da allora per milioni di persone non tanto la città e i suoi monumenti, ma le giornate del G8, esaltanti e tragiche, una stagione di utopia e di brutale repressione. “Genova”, così intesa, è diventato un luogo dell’anima e del sogno universale di giustizia, uno spartiacque personale e politico: chiunque si sia sentito vicino a quel movimento, sa da che parte stare, conosce una verità che il sistema vorrebbe negare, non si piega alla diffusa mistificazione di quell’evento. 

Francesco Barilli, con questo suo libro, prende la giusta distanza - ambientando gli scambi epistolari quarant’anni dopo i fatti - che gli consente di restituire quel clima umano e politico che ha fatto di Genova un evento memorabile, un punto di svolta emotivo e sociale. I protagonisti del romanzo tornano a quei giorni, rievocano fatti e sensazioni, discutono i risvolti di ogni episodio, a volte si contrappongono: ne esce un ritratto ricco e sfaccettato, e per questo convincente, di un movimento sociale che si era messo in marcia per cambiare il mondo e si sentiva in sintonia con la storia. 

Oggi sappiamo che le ragioni erano giuste, che il “movimento dei movimenti” anticipava la storia, perché conosceva il mondo meglio dei potenti. Non è stato ascoltato e anzi è stato zittito. Eppure, nonostante tutto, c’è ancora un filo rosso che corre invisibile dietro le quinte della storia e lega epoche diverse, consente un passaggio di testimone, agevola la trasmissione di esperienze e conoscenze. Greta Thunberg è il volto mediatico delle speranze, ma anche della rabbia, di una generazione che rischia d’essere perduta: si muove anche lei, che lo sappia o meno, lungo quel filo che da Genova arriva fino a noi attraverso cortei e sit-in, lotte sociali e contestazioni dei potenti. Il libro di Barilli è un libro generazionale, parla di quelli di Genova, ma è anche un libro-ponte fra generazioni: mostra e racconta un momento di rivolta politica, culturale e anche morale che rimane uno dei punti più alti toccati nella storia dalla società civile globale. Dice di una vicenda che merita d’essere studiata, capita, elaborata e calata nei tempi nuovi. All’epoca di Genova si diceva: un altro mondo è possibile. Oggi sappiamo che un altro mondo è necessario. Arriverà, quel mondo, solo attraverso la lotta politica e sociale e lo sviluppo di un’intelligenza collettiva che sale dal basso, cresce, si afferma e infine rinuncia a salire troppo in alto, perché l’arroganza del potere è così rovinosa da poter distruggere anche il futuro. 

LORENZO GUADAGNUCCI


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