Chi ha commentato il “V day” di Beppe Grillo si è soffermato sugli
stessi aspetti: i contenuti lanciati dal comico genovese e le modalità
espressive di questa forma del fare politica, oscillante fra denuncia e
qualunquismo. In particolare, tutti hanno sottolineato cosa
sottintendeva la lettera V, quel “vaffa” che l’italiano medio, stanco
del teatrino della politica, urlerebbe a destra e manca. Ma c’è un altro
aspetto, ingiustamente sottovalutato, di quella lettera: Beppe Grillo
ha scelto come simbolo della propria iniziativa una V particolare fin
dal segno grafico, che richiama (come ha riconosciuto lui stesso) un
recente film dei fratelli Wachowski e, soprattutto, il protagonista del
ben più riuscito romanzo a fumetti che lo ispirò.
Il libro di cui
parlo è “V for Vendetta” di Alan Moore. Scritto nei primi anni ’80, è
ambientato in un’Inghilterra del futuro, dove una dittatura pone i
cittadini sotto il controllo costante delle telecamere, perseguitando
oppositori politici, gay, “razze inferiori”. “V” è un personaggio
poliedrico: poeta, intellettuale, anarchico, maestro di vita… Persino
terrorista: la sua prima azione è radere al suolo con una carica di
esplosivo il parlamento inglese, come tentò di fare nel 1605 Guy Fawkes,
personaggio cui non a caso “V” si richiama, indossando una maschera che
ne raffigura il volto.
Nel fumetto l’eroe arriva dal nulla; solo
nel prosieguo del racconto scopriremo – peraltro solo parzialmente – la
sua origine, non la sua identità né il suo volto, mantenuto nascosto
dietro la maschera di Fawkes. “V” incontrerà la morte, ma in modo
consapevole e non senza aver lasciato la propria eredità ideale a Evey,
la sua protetta, e soprattutto dopo aver pesantemente colpito la
dittatura inglese ed aver risvegliato l’autocoscienza popolare. L’autore
non ci mostra gli sviluppi nella società inglese, ma ci lascia
intendere che a quel punto la missione dell’eroe è compiuta: sta alla
gente far sbocciare e mantenere in salute il seme della libertà che
l’eroe ha conficcato nel terreno.
Proprio qui stanno le differenze
tra il personaggio di “V for Vendetta” e il “V day”. Grillo dà un volto –
il suo – all’eroe che dovrebbe risvegliare la coscienza civile. “V”
nega l’importanza al proprio volto e al proprio nome, rifuggendo dal
personalismo; cerca di risvegliare le coscienze del popolo inglese,
narcotizzato da una dittatura in cui Alan Moore distorce e amplifica gli
effetti delle politiche Thatcheriane, contemporanee alla genesi del suo
fumetto; rilancia la disobbedienza civile e aiuta gli inglesi a
riscoprire la complessità e l’utilità del pensiero indipendente.
Grillo riprende la rabbia dell’eroe di Alan Moore, non la sofferta
complessità. Se per “V” gli intellettuali (intendendo con questo termine
chiunque sappia usare il proprio pensiero con metodo e senza
condizionamenti) sono da risvegliare, Beppe Grillo sembra testimoniare
che in Italia essi non hanno alcun valore o utilità, apparendo al
massimo come una presenza ingombrante. L’emulo di Guy Fawkes incita alla
ribellione, ma come primo passo verso una società più giusta, mentre
l’iniziativa del comico genovese mantiene solo la furia iconoclasta del
“V” di Alan Moore, lasciando indefiniti i passi successivi. Nella
migliore delle ipotesi questi sembrano affidati allo spontaneismo, nella
peggiore prospettano un tunnel di cui lo sbocco non si vede, ma se ne
può temere il populismo.
Grillo, insomma, semplifica la V di Alan
Moore; ma da “Vendetta” a “Vaffanculo” il passo non è breve. E le derive
del “V day” incutono persino più timore di quelle bombarole degli inizi
di “V”.
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