Caro direttore,
ti ricordi di Emmett Till? Era un bambino, era
ancora un bambino. Aveva 14 anni e la pelle del colore sbagliato, quando
nel 1955 due uomini dalla carnagione diversa lo rapirono. Emmett si
trovava in una cittadina del Mississippi, dove era arrivato con la sua
famiglia da Chicago, in visita ad alcuni parenti. Sembra che quel
pomeriggio avesse azzardato un complimento verso una donna bianca, forse
uno di quegli apprezzamenti un po’ grevi che, a quell’età, fanno
sentire più grandi.
“Lo torturarono e gli fecero delle cose troppo
malvage per essere menzionate”, cantò Bob Dylan. Io le voglio invece
ricordare: lo picchiarono fino a ridurlo in fin di vita, poi gli
cavarono gli occhi, gli spararono un colpo alla nuca e lo gettarono in
un fiume.
I suoi assassini non furono puniti. Nel 2005 le autorità
americane, in seguito a nuove testimonianze, annunciarono nuove indagini
e la possibile riapertura del caso; non conosco gli sviluppi
successivi.
Perché ti racconto tutto questo? Perché Federico
Aldrovandi aveva pochi anni più di Emmett Till, 18 compiuti da poco,
quando ha trovato la morte il 25 settembre 2005, nel corso di un
controllo di polizia. Il 19 ottobre inizierà il processo contro 4 agenti
coinvolti in quel “controllo”.
Fino alla sentenza non possiamo
parlare di colpevolezza, ma sappiamo che Federico morì chiedendo
“basta”. Come fece, probabilmente, quel bambino di Chicago che non ebbe
la giustizia che – voglio sperare – avrà Federico. Aspettando la
sentenza possiamo però ricordare quanto Bob Dylan scrisse proprio per
Emmett Till: “Se non siete in grado di protestare contro una cosa
simile, un delitto così odioso, i vostri occhi sono pieni di terra
sepolcrale, la vostra mente è coperta di polvere. Le vostre braccia e le
vostre gambe devono essere in ceppi e catene ed il vostro sangue si
rifiuta di scorrere. Perchè avete lasciato che questa razza umana
degenerasse in maniera così orribile”.
Francesco “baro” Barilli
pubblicato su Liberazione del 3 ottobre 2007. Pubblicato anche su http://federicoaldrovandi.blog.kataweb.it/
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