In questi giorni a Brescia sono giunte alla conclusione, o almeno a uno
snodo cruciale, due vicende molto diverse fra loro. Ma se per la prima
storia questa conclusione sembra dischiudere una speranza, per la
seconda appare simile a una pietra tombale.
Il 15 novembre gli
ultimi 4 operai (all’inizio erano 6) sono scesi dalla gru dove stavano
lottando per i diritti propri e di tutti i lavoratori migranti (e in
fondo anche per i nostri). Il 16 novembre la corte d’Assise bresciana ha
emesso il verdetto di primo grado sulla strage di Piazza della Loggia,
avvenuta il 28 maggio 1974 (a pochi passi da dove abbiamo assistito alla
protesta dei migranti) durante una manifestazione indetta in risposta a
episodi di violenza neofascista: gli imputati sono stati tutti assolti.
Queste due storie sono distanti, per tematiche e contesto temporale.
Sembrerebbero avere come solo comune denominatore la città in cui sono
avvenute. Eppure tracciare un parallelo non è impossibile.
La più
recente è una storia piccola e attuale, sospesa a 35 metri dal suolo,
dal resto di un’Italia che preferirebbe non vederla. La più antica è
appesa a un passato di ormai 36 anni fa. Ma anche questa sembra sospesa a
tanti metri di altezza, lontano dagli occhi e dal cuore del Paese.
Nei giorni scorsi il PM Di Martino aveva iniziato la propria
requisitoria con parole amare che oggi, dopo l’assoluzione, suonano
profetiche: “Tra qualche giorno calerà il sipario su questo
processo, celebrato su un palcoscenico abbastanza ristretto, che va poco
al di là delle mura di questo palazzo: al di là della città di Brescia
il processo non ha avuto ripercussioni. A questa indagine abbiamo
dedicato uno spazio rilevante della nostra vita. Per cercare la
verità…”.
Quasi uno sfogo umano di chi ha dedicato vent’anni
allo studio degli atti, e forse s’aspettava un sussulto di dignità da
parte di quei media molto attenti a seguire le cronache processuali
(purchè si tratti di casi di “nera” che alzano l’audience…). Ma la
disattenzione dei media è rimasta uno scoglio con cui si è scontrato il
processo. E lo spazio dedicato alla sentenza non suona come un
risarcimento, ma come un’ulteriore beffa. Del resto, per dirla ancora
con le parole di Di Martino, “Questo è un processo che non piace,
perché sono emerse cose che danno fastidio, che mettono in cattiva luce
le istituzioni di allora. Ne esce un’immagine sconcertante: non c’è uomo
dell’eversione di destra che non avesse un referente nei servizi
segreti”. Parole che non sono scalfite dall’esito processuale.
Dopo un centinaio di udienze, in cui si sono vagliate le circa 800.000
pagine del fascicolo sulla strage e ascoltate numerosissime
testimonianze, la corte ha dunque dato la propria risposta a carico dei 5
imputati rimasti (Giovanni Maifredi è deceduto nel 2009). Uomini
dell’estrema destra come Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi e Pino Rauti;
elementi ambigui come Maurizio Tramonte (“fonte Tritone” del SID); l’ex
generale dei carabinieri Francesco Delfino (capitano all’epoca dei
fatti): tutti assolti, seppure con l’art 530 del codice di procedura
penale, corrispondente alla vecchia “insufficienza di prove”.
Quasi quarant’anni fa Brescia seppe reagire alle provocazioni fasciste.
La manifestazione del 28 maggio 1974 fu la risposta dei sindacati, degli
antifascisti, dei lavoratori: la strage non tolse forza a quella
risposta, semmai la rafforzò.
Oggi, una parte della stessa comunità si è mobilitata a sostegno di 6 operai. Con la stessa determinazione e la stessa dignità.
Nei prossimi giorni i “migranti della gru” conosceranno il proprio
destino: resta alto il timore che possano essere espulsi. Anche la
strage di piazza della Loggia avrà la propria risposta definitiva dai
successivi gradi di giudizio, ma in questo caso l’attesa sarà più lunga e
la speranza di un esito diverso da quello della corte d’Assise è assai
esile.
Noi possiamo solo sperare che queste 2 battaglie siano
vincenti. Che i “6 della gru” ottengano i propri diritti e i familiari
delle vittime di piazza della Loggia, in una lotta che appare ancora più
difficile, ottengano giustizia. Non sarà però l’esito a rendere utili o
meno queste battaglie, ma la consapevolezza che si tratta di sfide
entrambe attuali e patrimonio di tutti. La loro testimonianza passa
anche attraverso queste parole e l’attenzione e la solidarietà che
sapremo garantire. Ai “6 della gru” come ai familiari delle vittime
della strage, ingiustamente feriti da questa sentenza.
Francesco “baro” Barilli
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