Cara Paola,
i fatti li conosci: li riassumo per chi non ne avesse sentito parlare, e che comunque potrà trovare molti riferimenti sul web. Tu, responsabile della comunicazione della lista Tsipras, hai pubblicato una tua foto in bikini, accompagnandola con un breve messaggio (“è iniziata la campagna elettorale e io uso qualunque mezzo. Votate L’altra Europa con Tsipras”). Un escamotage per tentare di far sì che i media finalmente si occupassero della lista (che pure io voterò; ma su questo tornerò più avanti).
La tua scelta/provocazione ha originato molti commenti, pro e contro, dal tono e dal contenuto diversissimi. Ho notato una cosa: tutti hanno parlato di te, della tua avvenenza, della tua scelta; pochi della lista in sé (e questo mi sembra certificare un parziale fallimento della tua strategia); nessuno si è rivolto direttamente a te, con l’eccezione di chi, suppongo, ti avrà mandato messaggi via facebook. Provo a colmare io la lacuna: penso tu possa apprezzare la decisione di riflettere “con te” e non “su di te”. In fondo anche quest’ultimo approccio non è forse la spia di un atteggiamento mentale che vuole il corpo femminile come un oggetto da trattare?
Il mio parere sulla questione è assai articolato.
Da un lato, la tua iniziativa è spiritosa e legittima. La foto non ha nulla di volgare ed è chiaramente frutto della frustrazione di chi sta impegnandosi in una campagna elettorale che cozza contro il silenzio che i media hanno, scientemente e scientificamente, adottato.
Da un altro lato, se è vero che l’uso del corpo (maschile o femminile che sia) deve essere totalmente libero e nella piena e assoluta disponibilità dell’individuo, è anche vero che nel momento in cui tu sei responsabile della comunicazione di una lista non rispondi solo a te stessa delle strategie che utilizzi. Su questo, sia chiaro, il femminismo e le sacrosante lotte per la liberazione della donna non c’entrano nulla.
Da un altro lato ancora (e questo, credimi, c’entra ancor meno con l’autodeterminazione) non ho mai sopportato la commercializzazione e la personalizzazione della politica. Intendo dire che la politica dovrebbe essere fatta di contenuti, non di “strategie commerciali”; accostare “il tuo corpo” e “Lista Tsipras” è proprio questo: si accosta un prodotto a un testimonial, contando che il consumatore (o l’elettore) venga convinto da una data immagine.
Sull’effetto della tua campagna, L’Espresso scrive: “Paola è riuscita a ottenere molto più spazio di quanto aveva conquistato pubblicando centinaia di notizie, analisi, video, infografiche e interviste sull’austerità, sul fiscal compact, sull’aumento della forbice sociale, sul programma della lista Tsipras e sulle idee di Barbara Spinelli. Nei media italiani, ancora nel 2014 e dopo tutto quello che si è detto e fatto per andare un po’ avanti, continua a essere infinitamente più potente un culo”. Triste e solo in parte vero: la critica ai media la condivido, ma non mi sembra che la tua foto abbia aperto praterie di discussioni sul precariato, sulle diseguaglianze sociali o sul fiscal compact. Al massimo, si è rinvigorita la discussione sull’uso del corpo femminile: certo, interessante, attuale e fondamentale. Ma nel dibattito non è entrato altro, la tua foto non ha rotto alcun tabù. Semplicemente hai usato una strategia comunicativa già usata (da altri e per altri scopi) cercando di capitalizzare un vantaggio di visibilità per la Lista. La tua scelta non scombussola le regole: è l’involontaria e forse persino dolorosa rinuncia a poterle sovvertire.
Ora è il momento dell’argomento più spinoso (per me) e che meno riguarda te.
Ti confesso: non t’invidio. Perché ti tocca gestire la comunicazione della Lista Tsipras dopo disastri con cui non c’entri (sinistra arcobaleno e rivoluzione civile, per dirne due). Ti tocca farlo quando molti soggetti, fra i partiti che sostengono la lista europea, sono percepiti da una parte del potenziale elettorato come incapaci, traditori, “poltronisti”… Quel vecchio slogan, “una risata vi sepellirà “, non pensavo sarebbe stato utilizzabile contro di noi (né che la risata fosse quella di Vendola con Archinà…). Non ci fosse stato tutto questo il tuo lavoro sarebbe più semplice…
Paola, davvero pensi che “il messaggio” de L’altra Europa non arrivi alle masse (solo) per l’ostruzionismo dei media? Guarda che è ormai straripante l’insofferenza verso l’informazione tradizionale, sempre più sciatta, omologata, servile… Insomma, un tempo poteva esserci rabbia al pensiero che Porta a Porta ospiti solo il plastico di Cogne; oggi c’è la consapevolezza che esiste un pubblico, diverso da quello di Porta a Porta, interessato a parlare di lavoro, diritti, migranti, beni pubblici… Di “un altro mondo possibile”, consentimi di dire in un rigurgito nostalgico. La campagna referendaria sull’acqua pubblica ha dimostrato che anche in un feroce black out informativo dei media si può vincere, tentando strategie comunicative che ormai solo parzialmente possono definirsi “innovative” o “di nicchia”. Forse è davvero il momento di uscire da schemi preconfezionati, anche nell’informazione e nelle strategie di comunicazione: l’attenzione su certi argomenti c’è, anche se sottotraccia.
Io sono anarchico. Ma spesso ho votato. Non “per il meno peggio”, no: questa in fondo sarebbe una deformazione da sinistra del “voto utile” che tanti danni ha già procurato.
Verso il voto ho un approccio pragmatico. Non m’interessa “prendere il palazzo”, non avendo mai sentito attrazione verso il palazzo o il potere in sé (che ritengo concettualmente nemico mio e dell’essere umano), ma preferirei avere qualcuno, nel palazzo, con cui posso interloquire. E se questo qualcuno è un operaio cassintegrato, un precario eccetera, penso che perlomeno una forma di resistenza culturale verso questo mondo (che non crea ingiustizie e abusi ma che SI BASA su ingiustizie e abusi) la si possa costruire.
Ma, ricordati, è proprio nei grandi media che il liberismo ha vinto, culturalmente e antropologicamente prima che politicamente. Solleticarli usando le loro tecniche (come in fondo hai fatto tu, pur se in buonafede e con sicura ironia) rischia di dare solo l’idea che la nostra sconfitta sia definitiva.
Ti saluto e ti auguro buon lavoro.
Francesco “baro” Barilli
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